Ungheria: antico Paganesimo, Architettura, Poesia, Black-Gothic Metal!

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Ungheria: origini e archeologia
 

Gli Ungheresi non sono di origine indoeuropea, ma uralo-altaica; giunsero in Europa nel X secolo; l'unico legame che riconoscono è con gli Unni; Attila è ancora un nome diffuso presso i Magiari (sì, lo sanno bene i fans dei Mayhem del periodo del "De Mysteriis..." :D Nota di Lunaria). Come in molti altri popoli, a celebrare l'origine degli Ungheresi e dei Magiari c'è proprio una leggenda: 

il cervo miracoloso.


La lingua parlata dagli Ungheresi, comunque, è incomprensibile sia per i Finlandesi sia per gli Estoni che appartengono allo stesso ceppo linguistico (Nota di Lunaria: comunquei, i Turchi capiscono qualche parola di ungherese; lo so perché mi sono letta i commenti sotto i video di band ungheresi apprezzate anche dai Turchi che riescono a capire qualche parola xD) 
La leggenda del cervo miracoloso racconta che i fratelli Hunor e Magyar durante la caccia videro un meraviglioso cervo dalle corna d'oro. I due lo seguirono, intenzionati ad averlo come preda, e l'inseguimento durò diversi anni. Il cervo li condusse fino alle sponde del Mar Nero dove viveva un re con due figlie. I due fratelli si innamorarono delle principesse; i figli che nacquero dal loro matrimonio sono all'origine degli Unni e dei Magiari.



Nota di Lunaria: il cervo è un animale importante, dal punto di vista simbolico. è soprattutto maschile e solare; è molto famoso il dio Cernunnos



e la Dea indù Jaydeep Vaghela cavalca un cervo (a volte è un daino)  



I Celti rappresentavano un dio con l'orecchio di cervo




Le remote origini dell'Ungheria dal punto di vista artistico però risalgono al Paleolitico superiore: possiamo citare la civiltà di Szeleta, con punte di lancia, raschiatoi, bastoni in osso scolpito, ritrovati nelle caverne del monte Bükk. Risalenti al Neolitico abbiamo terracotte, figurine umane, vasi muliebri, Dea Madre.








A metà del VI sec. a.c. l'Ungheria viene invasa dagli Sciti, mentre nel I sec. a.c. i Romani costruiscono una fitta rete di fortificazioni lungo in Danubio nella regione chiamata "Pannonia", con Aquincum come capitale. Nel 380 d.c. arrivano gli Unni. 




Nota: sugli Sciti, vedi questi due libri



Altro approfondimento

Nota di Lunaria: purtroppo non ho alcuni accenti tipici dell'alfabeto ungherese... per cui certi termini sono scritti con gli unici accenti che potevo mettere. 

LA MAGIA PRESSO GLI ANTICHI MAGIARI

Gli antichi Magiari credevano fermamente alla magia e negli interventi celesti, al punto che i tàltos, gli sciamani, godevano di una posizione elevata. Alcuni animali, come orsi, cervi maschi, lupi, erano considerati totemici ed era proibito citare il loro nome. Nessun animale totemico è più conosciuto del Turul, un uccello simile ad un falco che si crede abbia fecondato Emese, nonna di àrpàd. Questa leggenda può essere vista come un tentativo di promuovere un senso di origine comune e di identità di gruppo, uno sforzo per conferire un'origine sacra alla casata di àrpàd e al suo dominio. I Magiari erano arcieri a cavallo così abili e brutali che una preghiera cristiana dei primi anni del Medioevo implorava "Salvaci, o Signore, dalle frecce degli Ungheresi"

Per approfondire gli antichi Magiari:

POPOLAZIONE

Il 92% della popolazione ungherese è magiara. Tra le minoranze: tedeschi, serbi, slovacchi, romeni. Il numero ufficiale dei Rom è pari all'1,9% della popolazione (cioè meno di 200.000 persone), anche se alcuni ritengono che si parli addirittura di 800.000 persone.

STORIA: LE ORIGINI DELL'UNGHERIA (1)

Gli Ungheresi chiamano se stessi Magiari; parlano una lingua completamente diversa da quelle dei paesi  vicini; per questo temono di essere inglobati nei paesi confinanti (che sono slavi); tuttavia, nonostante le tante guerre e invasioni dei popoli nemici, gli Ungheresi sono riusciti a conservare la propria identità nazionale. Secondo gli storici, il Bacino Carpatico (nel quale si trova l'Ungheria) sarebbe abitato da almeno mezzo milione di anni: alcuni frammenti ossei sono stati rinvenuti negli anni '60 a Véresszòlòs. Nella Grotta di Istàllòskò sono stati trovati alcuni cocci risalenti all'Età della Pietra e alcune punte di freccia dalla cuspide in osso. Nel 2000 a.c il Bacino Carpatico venne invaso da alcune tribù indoeuropee giunte dai Balcani su dei carri trainati da cavalli, con armi e utensili in rame. Dopo l'introduzione del bronzo, i popoli che abitavano l'attuale Ungheria iniziano ad allevare cavalli e a costruire fortezze militari. L'origine dei Magiari è complessa, che viene complicata dalla somiglianza dei termini "Unno" e "Ungheria", che non sono collegati tra loro. I Magiari fanno parte del gruppo di popolazioni ugro-finniche che vivevano nei boschi tra il corso del Volga e i Monti Urali, nella Siberia occidentale, e iniziarono a migrare nel 4000 a.c Nel 2000 a.c raggiunsero il Mar Baltico. Gli Ugri invece migrarono dagli Urali verso le vallate, dedicandosi all'allevamento nomade. Dopo il 500 a.c, si spostarono verso ovest, nella zona della Bashkiria, dove si trovarono circondati da Persiani e Bulgari, e iniziarono a definirsi Magiari, nome derivante da termini ugro-finnici "mon", parlare, e "er", uomo. Successivamente, gli invasori (Illiri, Traci, Sciti) portarono il ferro, che entrò a far parte dell'uso comune con l'arrivo dei Celti, nel IV secolo a.c; i Celti introdussero anche il vetro e crearono dei gioielli d'oro. I Romani conquistarono la zona a ovest e a sud del Danubio nel 35 a.c; nel 10 d.c fondarono la provincia della Pannonia e introdussero la scrittura e la viticoltura, fondando anche diverse città fortificate: òbuda (la romana Aquincum), Szombathely (Savaria), Pécs (Sophianae), Sopron (Scarbantia)


 (1) La parola "Ungheria" potrebbe derivare da "onogur", "dieci popoli", un'alleanza di diverse tribù di Ugri. Verso la metà del XIII secolo i Mongoli misero a ferro e fuoco l'Ungheria, uccidendo da un terzo alla metà dei suoi due milioni di abitanti e radendo al suolo l'Ungheria. L'inno nazionale dell'Ungheria è l'Himnusz e racconta di un paese funestato da un destino avverso; lo "honfibù" è un termine ungherese che significa "dolore patriottico" o più precisamente la malinconia. è nota la leggenda nera che si porta dietro "Gloomy Sunday" ("Triste domenica"): sembra che chi l'ascolta poi si suicidi e si racconta che in Ungheria molte persone si gettarono nel Danubio... Questa canzone è stata riproposta da diverse cantanti come Billie Holiday, Sinéad O'Connor, Marianne Faithfull e Björk ma la mia versione preferita è quella eseguita da Diamanda Galàs. Comunque, leggenda o no, l'espressione ungherese "sìrva vigadni" significa "godere tristemente" e descrive al meglio un certo temperamento cupo ungherese.


La chiesa di Mattia\Mátyás Templom




Splendida cattedrale gotica che è servita come location per il film horror "La Chiesa"





secondo me è uno dei migliori film horror degli anni Ottanta.

Segnalo un altro capolavoro dell'architettura ungherese: il Romtemplom a Zsámbék



Il Carnevale dei Busò:
 

è la festa più importante di tutta l'Ungheria. Si svolge a Mohács: le persone sfilano travestite con maschere terrifiche, con corna, simili a capre.



Nota di Lunaria: questo genere di festività ha sicuramente origini pagane e probabilmente aveva a che vedere, millenni fa, con sacrifici e "capro espiatorio". Una festa del genere è diffusa anche presso Sloveni e Croati; lo avevamo già visto


http://intervistemetal.blogspot.it/2017/07/slovenia-pagana-parte-ii-zlatorog-le.html 
http://intervistemetal.blogspot.it/2018/03/croazia-il-poklad-thana-poesia-e-tanto.html

La Festa dei Fiori di Debrecen

 
Importante festival ungherese del 20 agosto che prevede musica, artisti di strada, carri con pupazzi ricoperti di fiori 



Nota di Lunaria: anche questa, secondo me, è una festa pagana. Queste "feste dei fiori" dove si festeggia una "regina" sono diffuse anche presso i Bulgari, come già scrivevo nel post dedicato alla Bulgaria http://intervistemetal.blogspot.it/2018/01/bulgaria-traci-rose-rovine-e-black-metal.html

Ovviamente, parlando di "Regina delle Rose", io non escludo possa trattarsi di una celebrazione di origine pagana in onore di qualche Dea della flora o della primavera simile alla Vesna slava e alla Vesina slovena e alla stessa Flora romana



Comunque, anche se non si trova moltissimo sull'antico pantheon ungherese (o meglio, magiaro), segnalo quella che è la Dea più importante: Boldogasszony, anche chiamata Nagyboldogasszony, la Grande Dea Madre Ungherese. 


 
In epoca cristiana, venne fusa con "la Vergine Maria", in particolar modo fu il santo Gerard di Csanad, uno dei primi missionari cristiani, a sincretizzare l'antica Dea della mitologia magiara con la Madonna. Stephen I, il primo re ungherese (997-1038), dedicò l'Ungheria a Maria/Boldogasszony. 




Altre Dee Magiare erano:

Víz Anya, Dea dell'acqua
Tűz Anya, Dea del fuoco
Szélanya, Dea del vento
Nap Anya, Dea Madre Sole
Hajnal Anyácska, Dea Madre dell'Alba




Per approfondire pantheon e leggende: 

https://en.wikipedia.org/wiki/Hungarian_mythology

Chissà se in Italia esiste qualche libro sul pantheon magiaro...

Infine una curiosità: c'è un film ungherese, "Satantango" che dura più di sette ore!!! xD Chissà se c'è qualcuno che è riuscito a sciropparselo tutto senza pause! xD


PER UN APPROFONDIMENTO SULLA DITTATURA NAZISTA IN UNGHERIA, VEDI: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/07/le-croci-frecciate-ungheresi.html

E ora vediamo la scena Metal! \m/  che è bella sterminata - ad oggi sono segnalate 1093 bands!
Purtroppo, sempre per mancanza di tempo da dedicare alla connessione, dovrò segnalarne solo poche; in generale, comunque, la scena Metal dall'Europa dell'Est ha quasi sempre una qualità media-alta, quindi si va quasi sempre sul sicuro! :D


Iniziamo dai Tormentor, probabilmente la band storica ungherese più famosa e più citata


https://www.youtube.com/watch?v=OwSjSdtlePM
 

Black Metal ottantiano, Anno Diaboli 1987, quindi con assoli di scuola Thrash proto-Death alla Possessed. 



Band in cui militò Attila Csihar.
Probabilmente i fans sfegatati dei Mayhem già li conoscono, ma sarà divertente per chi non lo sapeva, fare dei confronti e dei paragoni tra i Tormentor del '87 e i Mayhem del "De Mysteriis..."
Io mi ricordo che questa band veniva sempre citata nelle recensioni dei giornali Metal come pietra di paragone per valutare altre band

Gli Ungheresi vanno molto orgogliosi anche per Dusk


https://www.youtube.com/watch?v=O4aQptrFH4c
 

gelidissimo old Black...


Amadea
 

https://www.youtube.com/watch?v=krrk6_oHYnU

Gothic Metal, piuttosto sostenuto e con cambi di tempo

 
Andartar
 

Black Metal bello corposo alla Belphegor\Behemoth.

Notevole il video, e non mi spiego come mai abbia appena 36 visualizzazioni! Cliccate e supportate!!!



 
Black Leaves
 

https://www.youtube.com/watch?v=u16ZCQ4D4RM
 

Notevole Gothic Metal decadente e toccante.
La band però purtroppo si è sciolta nel 2008


 
Hexenwood:
 

https://www.youtube.com/watch?v=Q3t7INw2Xv8
 

Folk Black Metal piuttosto oscuro e "sciamanico"


 
Autumn Twilight
 

https://www.youtube.com/watch?v=M85IeINjXiA
 

Gothic Rock di matrice sistersiana e molto anni Novanta; niente di originale, essendo simili agli Ikon, comunque i super appassionati di Gothic Rock alla Sisters of Mercy\FOTN tipo la sottoscritta, daranno sicuramente un ascolto...

 
Infine concludiamo con questa playlist di bands ungheresi ascrivibili al Folk Metal


https://www.youtube.com/watch?v=is20Yxo_k6g

 Dalriada



 Kerecsen Sólyom



 
 Palmetta




 Virrasztók



 
Non c'entrano con l'Ungheria, essendo dalla Repubblica Ceca, ma se non li cito in questo post, poi non potrò più citarli, visto che dubito che sulle guide turistiche della Repubblica Ceca ci siano molti riferimenti ad epoche pre-cristiane... sto parlando degli XIII Století, con il loro Gothic Rock ultra vampirico cantato in lingua madre (!!!) 





https://www.youtube.com/watch?v=dVRROSOeA98
https://www.youtube.com/watch?v=aEGb-7jnGIY

https://www.youtube.com/watch?v=Lz3hGBfIvxg


Letteratura Ungherese

 
Ci sono diversi autori... io comunque ho letto solo Miklós Radnóti, parecchi anni fa... ho approfondito molto di più il movimento poetico cecoslovacco/praghese....
Per quanto riguarda le donne, il nome più noto è Margit Kaffka, tra le prime donne a scrivere



Miklós Radnóti è nato a Budapest il 5 maggio del 1909 e morto il 9 novembre 1944. 




Le poesie sono tratte da "Mi capirebbero le scimmie" (1928-1944). L'Autore, di origine ebraica, venne perseguitato e rinchiuso in campi di lavoro in Ungheria e Serbia, infine fucilato.

"Disse: Caino parlò dunque con Abele" (1928)

Abele, fratello mio, ieri mi ha svegliato l'antica colpa,
ho ucciso i tuoi nivei sogni e mi sono trascinato
peccaminoso sulla strada notturna dell'inutilità
tra file di alberi tristi e gelati verso il mattino.
Le mie terre che sanno di sole piangevano vaporose dietro di me
il mio corpo cacciato, le notturne ansimanti ferite illuminavano
sul mio volto le rose rosse del pentimento e, come un mendicante,
rompendo la maledizione, ti chiamavo per il grande incontro.
Tu eri un santo e quando sei nato
aleggiava la devozione; nel mio lontano giorno
il cielo tuonava gravido, da assassino caddi a fatica,
come prima foglia dell'albero amaro che gemeva imprecando.
E sono diventato Caino, sul mio petto sporgente sorgeva il sole
e la fatica delle mie ginocchia portava l'aurora quando mi inseguivi,
scagliandomi dietro le tue parole di dolore,
rovesciandomi davanti agli alberi tristi e gelati,
guardie della mia fuga notturna.
Sono inciampato, l'ostacolo mi ha lacerato la carne,
sono caduto e ho ripreso la corsa, nero e biblico:
sono Caino e ieri mi ha svegliato l'antica colpa,
sono Caino e tu sei Abele!

"Perdonare" (1929)

Dormo il sonno bianco dei bambini che sanno di latte
e al mattino il mio cuore brilla
attorno allo strano splendente paesaggio del petto.
Questa notte ho vegliato il gregge
sulla collina della bontà, ma al giungere dell'alba
l'ho perduto e ora sono solo.
In silenzio chino il capo sul petto,
e lascio cadere il mio povero cuore
nel palmo mortale di qualche mendicante.

"Meditazione" (1929)

Ormai credo a tutto in silenzio:
di notte ho ascoltato la Sonata al Chiaro di Luna e l'Ave
Maria accanto a una sola
candela gocciolante - attraverso
la finestra le luci proiettavano
strane figure sul muro - ero seduto
con il cuore e le mani allacciati in preghiera -ave
ave!- anche la candela brucerà fino in fondo,
ma la mano dell'amata comunque è bella,
lunga, sottile, la amo molto,
e l'amore mi siede addosso
come sui muri dei vecchi templi
sopra la testa bianca dei santi siedono
e piccioni mansueti dagli occhi lucenti.

"Nota in margine al profeta Abacùc" (1937)

Le città
ardevano,
esplodevano
i villaggi!
Sii severo
con me Abacùc!
Le braci
nere
sono già fredde;
in me ancora
arde
il morso rovente!
Il mio cibo,
le mie bevande
sono amari.
Coprimi di fuliggine
fino ai piedi, tu,
nera rabbia!

"Dormi" (1937)

Da qualche parte uccidono sempre,
nel grembo della vallata
dalle palpebre chiuse, sulle vette che scrutano,
ovunque, e per consolarmi
invano dici che accade lontano:
Shangai o Guernica
la vicinanza al mio cuore è la stessa
della tua mano tremante,
o Giove, lassù!
Non guardare ora verso il cielo,
né verso la terra, dormi!
nella polvere scintillante della Via Lattea
è la morte che corre
e cosparge d'argento
le caduche ombre selvagge.

"Ti ho nascosto" (1942)

Ti ho nascosto a lungo,
come il ramo tra le foglie
il frutto che tarda a maturare,
e ora fiorisci nei miei occhi
come sullo specchio della finestra d’inverno
il fiore giudizioso del ghiaccio.
E so già cosa significa
quando posi la mano sui capelli,
e custodisco già nel cuore
il movimento della caviglia,
e il bell’arco delle costole
che ammiro con distacco,
come chi s’è riposato
su tali meraviglie che respirano.
Eppure nei miei sogni
spesso ho cento braccia
e come un dio in un sogno
ti stringo nelle mie cento braccia.

"Frammento"

Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove l'uomo si degradava al punto
che, senza un ordine, ammazzava con piacere;
finchè fu preda del disorientamento
la sua vita era un nodo d'idee forsennate.
Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove la delazione aveva il suo premio,
assassino, criminale o spia era l'eroe,
chi era lento all'applauso o chi taceva
come la peste si tirava addosso l'odio.
Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove per parlare chiaro ci si nascondeva
nella vergogna dello sconforto più nero
e il paese inferociva correndo verso
la sua fine, ebbro di sangue e d'orrore.
Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove il figlio esecrava la madre,
ogni donna era lieta se abortiva
e un morto putrefatto era l'invidia
del vivo con la tazza di veleno in mano.

[...]

Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove il poeta soltanto avrà taciuto
fidando che di nuovo risuonasse
- anatema adatto all'epoca - la voce
del profeta dal verbo tremendo, Isaia.

"Settima Egloga"

(qualche verso)

Vedi, imbrunisce, e l'atroce barriera di quercia
col fregio di filo spinato sta così sospesa che nel buio si dilegua.
Lo sguardo va lento oltre la cornice del campo,
la mente, la mente soltanto, conosce la tensione del filo.

[...]

Sonno disteso sul legno, un animale prigioniero, tra i parassiti,
tra un'onda e l'altra di puli quando l'orda delle mosche s'è placata.
Vedi, è sera, un giorno di prigionia
e un giorno di vita in meno. Il campo dorme.
Sul paesaggio splende la luna e quella sua luce il filo
spinato è nuovamente teso, dalla finestra seguo sul muro
le ombre delle guardie armate tra le voci della notte.

(Lager Heideman sulle montagne di Zagubica, luglio 1944)

"Lettera alla sposa"

(qualche verso)

Nei mondi taciturni della profondità muta
il silenzio urla nel mio orecchio, lancio un grido,
ma non può rispondermi nessuno dalla distante
Serbia svenuta in guerra
e tu sei lontana. La tua voce intreccia il mio sogno
e di giorno la ritrovo di nuovo nel mio cuore
dunque taccio, mentre mi ronzano attorno ritte
tante felci orgogliose dal tocco fresco.

[...]

Stavo ammirando nel cielo l'azzurro dei tuoi occhi,
ma s'è annuvolato, e le bombe in alto dagli aerei
avevano voglia di precipitare. Vivo contro di loro-
e sono prigioniero. Ho ponderato tutto quello in cui spero,
ciò nonostante so che ti ritroverò,
ho percorso per te la lunghezza interminabile dell'anima.

(Lager Heideman sulle montagne di Zagubica, luglio 1944)

L'ultima poesia di Radnòti fu trovata, scritta su un foglietto, nascosto nella tasca del suo impermeabile.
Descrive l'uccisione di un compagno, violinista; il poeta immagina d'istinto la sua fine, subito dopo quella dell'amico.

Gli crollai accanto, il corpo era voltato,
già rigido, come una corda che si spezza.
Una pallottola nella nuca - Anche tu finirai così -
mi sussurravo - resta pure disteso tranquillo.
Ora dalla pazienza fiorisce la morte -

"Der springt noch auf" (Lui salta su ancora) suonò sopra di me.

E fango misto a sangue si raggrumava nel mio orecchio.

Il Poeta fu ucciso dai fascisti ungheresi, che lo fucilarono insieme ad altri uomini non più "utili" ai lavori forzati. Dopo aver fatto loro scavare la fossa, li hanno fucilati.

Chi lo ha conosciuto dice che il poeta era solito affermare: "Ho vissuto e ho recitato i versi in ungherese e dovrò morire da ebreo".

Jòzsef Tornai ha così spiegato la frase in tedesco della poesia:

"Tra le morbide parole di casa quella dura immasticabile frase è dovuta all'estraneamento dello stato d'animo del poeta per l'avvicinarsi della morte, e per la precisione poetica l'espressione in tedesco riassume ciò che immaginava. Le parole tedesche rievocano l'uniforme nera, le SS con la pistola automatica, e le vediamo camminare e uccidere tra le file degli esseri sfiniti. Io vedo un selvaggio compiaciuto dalla faccia bionda che si china, lo vedo come se accadesse a me". E aggiunge: "Anche se si è scoperto che gli assassini di Radnòti non sono stati i tedeschi."

Riporto il commento della traduttrice di Radnòti, Edith Bruck, nata in Ungheria da una famiglia di ebrei, sopravvissuta alla deportazione, stabilitasi a Roma bel 1954, che ha tradotto anche Attila Jòszef, altro Poeta ungherese.

"Il suo canto non può essere fatto prigioniero da nessuna lingua, ma è messaggio universale, monito per l'uomo finché il dolce grido non lo assorda, e non si riappacifica con se stesso invece di continuare con le barbarie che si susseguono da quando l'uomo è uomo: se questo è un uomo."

ALTRO APPROFONDIMENTO:

I CLASSICI DELLA LETTERATURA UNGHERESE

Sàndor Petofi (1823-1849) è il poeta ungherese più celebre: il suo "Canto Nazonale" venne scelto  come motto della guerra di indipendenza del 1848.  "La tragedia dell'uomo" di Imre Madàch (1861): ispirato a John Milton e Goethe, questo dramma interpreta la storia dell'uomo prendendo spunto da Adamo, Eva e Lucifero. "I ragazzi della Via Pàl" di Ferenc Molnàr (1906): romanzo che narra le vicende di un gruppo di ragazzi cresciuti nell'Ottavo Quartiere; è una satira sul nazionalismo europeo. "Allodola" di Dezso Kosztolànyi (1924): la storia di una zitella che vive in un angolo sperduto in Ungheria, rispecchia l'inutilità della vita. "Le braci" di Sàndor Màrai (1942): la disputa infinita che consuma le vite e l'amicizia di due uomini. La sconfitta riportata dall'Ungheria nel 1849 spinse molti scrittori a cercare conforto e ispirazione negli invincibili eroi e nei cavalieri senza macchia e senza paura del Romanticismo. Jànos Arany (1817-1882) che aveva combattuto al fianco di Petofi, scrisse numerose poesie epiche (tra cui la trilogia di "Toldi") e ballate. Un altro amico di Petofi, Mòr Jòkal (1825-1904) diede voce a temi come l'eroismo e l'onestà  ("L'uomo d'oro" e "Diamanti neri") Un altro scrittore molto apprezzato è Kàlmàn Mikszàth (1847-1910), autore di racconti satirici nei quali si prese gioco della piccola nobiltà in declino. Zsigmond Mòricz (1879-1942) era uno scrittore differente: le sue opere che si collocano nel tracciato di Emile Zola, prendono in esame la dura vita che i contadini ungheresi conducevano alla fine del XIX secolo. Il poeta Mihàly Babits dedicò gran parte della propria vita allo svecchiamento della letteratura ungherese. Endre Ady fu un riformatore che attaccò il crescente materialismo degli Ungheresi, provocando un'ondata di aspre proteste da parte dei nazionalisti di Destra. L'opera del poeta socialista Attila Jòzsef diede invece voce all'alienazione provata dagli individui nell'epoca moderna. Jòzsef fu molto critico nei confronti del movimento comunista e col regime di Horthy e si suicidò gettandosi sotto un treno a 32 anni. Altri autori essenziali sono Sàndor Màrai (1900-1989), Imre Kertész (sopravvissuto ad Auschwitz), György Konràd, Péter Nàdas, Péter Esterhàzy, Làszlò Krasznahorka. La scrittrice ungherese più celebre è Magda Szabò: "Via Katalin", "Abigail", "La porta", "Il vecchio pozzo" le sue opere più celebri e tradotte anche in italiano.

Abiti Ungheresi
 

Curiosamente queste vezzose gonnelline ungheresi tradizionali


anticipano la moda giapponese del "Gothic Lolita"







Infine, citiamo la "VIP" assoluta nella storia dei serial killers: Erzsébet Báthory, uno dei pochissimi nomi femminili, nella storia della criminologia, a rappresentare un sadismo femminile sessuale piuttosto atipico. 



Cosa più unica che rara, perché in genere la maggior parte delle donne killer ha usato il veleno per uccidere: "vedove nere" e "angeli della morte", che uccidevano per profitto economico o per "misericordia"; la Báthory, invece, ammazzava per sadismo, e cosa ancora più strana, per sadismo verso le donne, anche se in un certo senso è facilmente spiegabile un certo sadismo misogino introiettato nella stessa Báthory: il Rinascimento è stato uno dei periodi più misogini e feroci della storia europea e non a caso segna il trionfo assoluto del cristianesimo. 


è nota la storia e tutti i metallari e gli amanti dell'horror già la conoscono, essendo la Nostra Contessa citata in dozzine di cd e monicker Black Metal e in centinaia di rielaborazioni grafiche, anche flirtanti con un certo erotismo goth pacchiano, della sua iconografia... comunque, la riepiloghiamo brevemente: era una Contessa decisamente annoiata - col marito sempre lontano, a combattere - che torturava le domestiche che faceva raccattare dai villaggi circostanti; sembra che passò all'omicidio quando, per caso, mentre fustigava una sguattera, il sangue della ragazza la colpì sul volto e alla Contessa sembrò, nei giorni seguenti, che la pelle su cui il sangue era schizzato fosse più elastica e fresca; e così iniziò a massacrare centinaia di ragazze povere che venivano convocate al castello con la promessa di un lavoro... per prepararsi la sua personalissima (ed efficace?!) "crema antirughe 100% naturale"... Insomma, contro le malefiche rughe c'è chi usa veleno di vipera, chi si unge di bava di lumaca e la Contessina ungherese invece usava il sangue femminile (ma non avrebbe fatto prima ad usare il suo stesso sangue mestruale?!?) ... è probabile che si dilettasse in magia nera (il marito non era da meno); si mise nei guai quando ammazzò alcune ragazze di rango nobile, cosa che fece scattare le indagini. Da qui in poi già lo sapete come va a finire la storia... nel castello trovano centinaia di cadaveri smembrati in avanzato stato di decomposizione, e così la nostra Contessina viene processata e murata viva. C'è da dire però che il numero delle vittime potrebbe anche essere stato gonfiato nel tempo, forse dalla propaganda politica anti-ungherese.    


Vabbè, che i Cradle of Filth le hanno dedicato un ciddì già lo sapete




che è anche uno dei più bei cd dei COF, idem...



Comunque, per chi fosse curioso, oltre agli ovvi manuali di criminologia



cito anche questo curioso romanzo



Un libro, che sotto forma di romanzo biografico, si addentra nella vita e nella psiche di Erzsébet Báthory, soffermandosi anche nell'analisi della situazione socio-politica dell'Ungheria del 1600 e della famiglia reale di Erzsébet.

"Madre. Amante. Strega. Assassina. A volte il male è l'unico modo per difendersi."

"Era una dolce mattina brumosa di giugno e le grigie mura in pietra degli spalti merlati erano cosparsi di licheni verdi e tralci di edera in fiore. Una sottile nebbiolina bianca si librava sul castello e sul ponte di legno che collegava la fortezza con l'esterno. Gli ospiti non erano ancora partiti e alcuni, ruzzolati sull'erba del giardino durante la notte, si erano persino sistemati a gruppetti di due o tre a dormire qua e là, avvolti nei mantelli. Mi nascosi dietro le siepi di tasso per non farmi vedere, dirigendomi verso l'ingresso principale del castello interno e oltrepassai il ponte di legno sulla palude. Lì il sole fece capolino e illuminò le canne di una luce dorata, mentre gli aironi si muovevano silenziosi sulle loro gambe sottili in cerca di pesci e rane, e gli insetti si levavano in volo al mio arrivo. Alla fine raggiunsi le mura più esterne e di lì la strada che conduceva oltre la palude in un declivio erboso. Un boschetto di biancospini nascondeva parzialmente la vista della pianura, ma l'odore penetrante del fango e delle canne, l'aroma fertile della terra ancora intatta permeavano ogni cosa."

ALTRO APPROFONDIMENTO: LA CONTESSA BATHORY

è una delle storie di cronaca nera più celebri: il 29 dicembre 1610 il conte d'Ungheria György Thurzò attaccò il castello di Csejta (l'attuale čachtice, che attualmente è localizzato in Slovacchia) e arrestò la contessa Erzsébet Bàthory, colta sul fatto, mentre completamente imbrattata di sangue urlava come un'ossessa mentre strappava a morsi dei brandelli di carne dal corpo di una serva. 

 
Thurzò raccolse prove interrogando i servi del castello e gli abitanti di čachtice e si ritrovò con 300 deposizioni che accusavano la contessa di aver torturato, mutilato, assassinato oltre 600 ragazze. Nel corso dei secoli la vicenda della Contessa Sanguinaria o Contessa Dracula ha stuzzicato l'immaginazione di molti scrittori (come Bram Stoker) ma anche di registi e feticisti sessuali. Per dare una spiegazione al comportamento dell'assassina più sadica della storia sono state avanzate molte teorie: secondo alcuni, la Contessa considerava il sangue delle vergini una sorta di elisir di lunga vita, per poter restare sempre giovane. Altri credono che lei fosse pazza esattamente come molti altri suoi parenti, visto che praticavano il matrimonio fra consanguinei; secondo altri, la Contessa sarebbe stata vittima di una congiura, visto che quando rimase vedova, nel 1604, aveva ereditato tutte le proprietà, che però facevano gola a diversi suoi parenti: toglierla di mezzo sarebbe stato vantaggioso per tutti. Comunque, la Contessa rimase internata "tra le pietre", cioè in una camera sigillata, fino alla sua morte, avvenuta nel 1614, a 54 anni. Il suo corpo venne tumulato nella cripta di famiglia a Nagyecsed.

APPROFONDIMENTO: L'UNGHERIA DESCRITTA DALLA BARONESSA ORCZY


Lettore, ti piacciono le montagne? I picchi romantici dei paesi lungo il Reno, le poetiche vette delle Alpi, le dolci colline ondulate dei paesi del Sud? Debbo confessare che, invece, io amo esclusivamente e appassionatamente la pianura e soprattutto le selvagge e misteriose pianure dell'Ungheria che si stendono, laggiù, tra il Danubio e lo Theisz. Ogni qualvolta mi trovo su quelle vaste pusztas (le pianure sabbiose dell'Ungheria), mi pare che la mente sia più libera, perché lo sguardo può spaziare, senza ostacoli, fino al limite dell'orizzonte, che ognuno può a proprio piacimento immaginare più o meno lontano.
E guarda come davvero l'orizzonte sembra lontano, laggiù dove cielo e terra si uniscono in una dolce linea purpurea, dove l'atmosfera azzurra si confonde col suolo rossastro e sabbioso! Tremola l'aria nell'intensa calura; e se il tuo sguardo cerca d'indovinare che cosa può esservi al di là di quell'immenso spazio, ecco d'improvviso comparire, in fondo, una visione di torri, di minareti e campanili, tutti bianchi e freddi, che si specchiano in qualche ampio stagno... laggiù.... da qualche parte lontano, dove l'occhio non può giungere più. Lo sguardo non può staccarsi da quell'apparizione affascinante e mistica, che la capricciosa fata Morgana ha intessuto sull'azzurra tela del cielo. 
Quelle torri, quei minareti fantastici, sono forse abitati da esseri differenti da noi, esseri per metà terrestri, per metà celesti, nati in quell'incommensurabile lontananza che comincia dove la visione finisce. 
Abbagliato, chiudi gli occhi un momento per riposarli dalla visione dorata, e quando li riapri le torri e i minareti sono scomparsi; e vedi solo qualche malinconico salice piangente e un gruppetto di pioppi snelli che interrompono la linea del cielo ancora purpureo. Rapito in estasi, con l'immaginazione perduta nel sogno, tu osi appena chiamare reale quel lontano e attutito rumore che giunge al tuo orecchio. E il galoppo di centinaia di zoccoli sul terreno morbido e asciutto. Ma forse anche questo rumore è irreale e gli innumerevoli cavalli selvaggi che passano con rombo di tuono, le lunghe code e le criniere al vento, sono animali incantati appartenenti agli spiriti che abitano i lontani minareti della fata Morgana. 
Ma no! Questo rumore è reale, e i cavalli passano oltre, in selvaggio galoppo, seguiti dal csikos (mandriano) montato sulla sua puledra, senza sella, le maniche della camicia bianca ondeggianti come ali, mentre fa sibilare il laccio e spinge la mandria davanti a sé. 
Per un poco la pianura acquista vita, perché gli uccelli selvatici spiccano il volo, spaventati, a destra e a sinistra, e, sul suolo, lucertole di colore vivace corrono timidamente qua e là. Ma il galoppo muore in lontananza, la frusta del mandriano non s'ode schioccare più, gli uccelli riposano, e la mente fantastica se questo sprazzo di vita tumultuosa non sia stato un altro sogno a occhi aperti, fatto apparire e scomparire dalla fantasia.
Regna di nuovo il silenzio. Un silenzio reso assoluto dalla mancanza della vita animale assopita nel calore del sole meridiano. 
A destra e a sinistra, innumerevoli campi di cocomeri volgono le moli enormi, verdi come smeraldo, ai raggi scottanti; dietro a questi, un mare giallo di grano e le chiome ondulanti del granoturco tremano e s'abbassano a ogni soffio di vento, mentre in ogni parte il profumato rosmarino mette una nota fredda, color grigio verde, sugli ardenti colori del suolo. Lontano, molto lontano, un mulino stende le ali sottili, come un gigantesco uccello da preda, e, proprio in fondo, al di là della pianura, la grande strada coperta di solchi corre verso il Nord e conduce a Kecskemet. 
E questo è tutto. Non c'è altro. Solo cielo e terra, e immensità, incommensurabile immensità, che sta a noi di possedere: intuire, capire, amare.
A mezza strada fra le due prosperose e provinciali città di Kecskemet e Gyongyos, proprio sul confine della grande pianura di Nadasdy, si annida il piccolo villaggio di Arokszallas, con le casette dai tetti coperti di paglia e la sua vecchia chiesa medioevale, fredda e grigia nello splendore di mezzogiorno. Vicino alla chiesa, il presbiterio, di un giallo acceso e con le imposte verde smeraldo, è circondato da un giardinetto, dove fra i grandi agrifogli e la reseda profumata il vecchio e degno Padre Ambrogio passeggia, durante i caldi pomeriggi estivi, con la sua frusta tonaca, mentre con voce assonnata dice il rosario.
Poi c'è la piccola csarda (osteria) lungo la strada, col tetto di paglia tutto di sbieco come un cappello di contadino ubriaco; e là, quando scende il fresco della sera ed il lavoro è finito, i mandriani della pianura si incontrano con gli amici del villaggio...