Israele Esoterico (3): il Serpente, Dagon e altre curiosità esegetiche!

Ah! Un articolo che solo Lunaria può proporvi!


Un bel po' di "Sapere Occulto" - e che vedremo anche nel prossimo post... - per fare bella figura con i nostri cari amici cristiani... che queste cose le ignorano.



Info tratte da


Il Serpente: Presso tutti i popoli antichi il serpente era considerato il simbolo dell'immortalità e della fertilità. Per questo motivo esso rappresentava tutti quei culti dei quali il popolo di Israele cercava di prendere le distanze.
 


 Alcune Dee legate al serpente:





Dei Maschili connessi al serpente: per quanto sia più raro trovare Dei maschili legati al serpente, abbiamo due nomi famosi: Damballah e Shiva o il meno noto Dio Gnostico dalla testa di leone coronata con raggi. O ancora, l'anguipede, metà gallo e con gambe a serpenti:
 


 Abbiamo poi la figura egizia di Nehebkau, il serpente con le gambe, e spesso, anche con le ali.

 è scontato dire che anche questo Dio (tra l'altro, Solare) era un Dio benevolo e proteggeva i faraoni.

Bisognerebbe davvero chiedersi, di fronte a tutti questi esempi presi da popoli l'uno all'estremo dell'altro, come mai solo gli ebrei monolatrici e successivamente i cristiani, disprezzassero il Serpente... anche se proprio nella bibbia compare lo scopiazzamento del Caduceo Pagano (mitico bastone che guariva ogni male),


  con la sciocca vicenda biblica del "serpente di bronzo"


Chi conosce bene il Paganesimo può affermare chiaramente che questa vicenda biblica è l'ennesimo caso di scopiazzamento che i finti monolatri presero dai politeisti...

Frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male: nella tradizione il frutto fu identificato con la mela, ma in Palestina era molto più diffuso il melograno che è un simbolo di fertilità e vitalità perché ricchissimo di semi.


Nota di Lunaria: e infatti simboleggia il grembo femminile per la sua capacità di dare la vita. Infatti durante la meditazione femminile lunare si immagina un frutto carico di semi (anguria, melograno...) pensando a come la Luna contenga in sé, come dei semi, le fasi (crescente, piena, calante, fase oscura...) che si ripetono, all'infinito. La Luna Piena contiene dentro di sé tutte le sue fasi passate e tutte le fasi a venire del suo ciclo... esattamente come il melograno sferico contiene in sé tutti i semini che saranno futuri melograni...

Vedi anche il collegamento con la dialettica hegeliana:



Hegel chiamò Dialettica il processo attraverso cui il Finito si risolve nell'Infinito. Questo divenire che potrebbe dirsi "la Vita dello Spirito", consiste in un ritmo triadico: il primo momento è la Tesi (l'Essere in Sé); il secondo è l'Antitesi (l'Essere fuori di Sé); il terzo la Sintesi (il Ritorno a Sé). La Dialettica è in atto in ogni parte dell'esistente; nel mondo naturale, per esempio, spiega l'andamento del divenire biologico: nel seme (Tesi) è già potenzialmente contenuta la pianta (Sintesi), ma affinchè lo sviluppo si compia è necessario che il seme si trasformi radicalmente, ossia si neghi come tale, nel momento dell' Antitesi. L'intero processo è descrivibile come un circolo, in cui si verificano una nascita, uno sviluppo e infine il ritorno all'elemento originario, arricchito di una nuova dimensione. Si può considerare la pianta come un seme realizzato, che ha sviluppato appieno la sia natura intima, ma è ovvio che non vi è alcun obbligo nell'assumere il seme come inizio del processo; anche se ciò è contrario alle abitudini, potremmo porre la tesi nella pianta e considerarla come un mezzo usato dai semi (ora divenuti sintesi) per riprodurre e moltiplicare se stessi. L'esito finale è comunque identico, perché la Dialettica si svolge in un processo cotinuo, in cui ogni essere realizza se stesso trasformandosi in qualcos'altro. Un seme diventa comprensibile solo alla luce del destino che lo attende (il diventare una pianta). La realtà non è formata da qualcosa di stabile e fisso, ma dal movimento continuo che si attua per contrapposizioni e scissioni continue. Gli elementi che compongono il divenire di ogni realtà, se presi isolatamente, sono astratti, concreti sono solo la loro fusione e il loro continuo fluire.

"Il frutto è in contraddizione con il fiore perché è la morte del fiore, ma soltanto l'insieme del frutto e del fiore costituisce l'albero. La contraddizione è vita, morte è l'identità totale, che non ha movimento che non muta."

Cosa vuol dire questa frase?

Che il frutto nasce dalla morte del fiore: infatti, il fiore di un albero nasce e sboccia; il suo profumo attrae gli insetti, che lo impollinano; il fiore così si chiude, "morendo", rinunciando ad essere fiore, per tramutarsi in frutto. Il frutto nasce quindi dalla morte del fiore, che non è morte negativa, totale, ma anzi, è un passaggio obbligato per far nascere il frutto, che rappresenta la morte del fiore. Eppure, il frutto nasce proprio dal fiore, e ambedue appartengono alla stessa pianta. Laddove il fiore è la tesi, e il frutto è l'antitesi (ovvero ciò che si è scontrato contro il fiore, il suo opposto), la sintesi è l'albero, che è formato da fiore+frutto, ovvero da una cosa che nega l'altra!

La contraddizione, ovvero il fiore che "muore" per lasciare spazio alla formazione del frutto (che non è nient'altro che il fiore, ma mutato in frutto), genera la vita: permette all'albero di crescere e di riprodursi. Se l'albero non avesse questa dialettica, questo scontro, ovvero, il fiore in contrapposizione col frutto, non avrebbe modo di crescere, di svilupparsi, di essere albero vivo. Sarebbe statico, atrofizzato, morto. Anche la Luna Piena "muore" facendosi calante... fino al prossimo ciclo in cui si farà nuovamente Piena.


Albero della Vita: L'Albero della Vita dal quale bisognava mangiare regolarmente i frutti per mantenere la vita eterna era già un'idea sumera nel VI sec. a.C, come mostra questo sigillo:

si notino i serpenti accanto ai due personaggi seduti vicino ad un albero!

Anche nella mitologia norrena c'è l'idea del frutto dell'immortalità:



Idun (che strano, una Dea che custodisce un Albero!, come nel mito ebraico del "Serpente" - emblema della Dea - che sta attorcigliato all'Albero "proibito"...) è colei che custodisce i meli magici che donano l'immortalità. Si potrebbe anche riportare l'Albero nel contesto indù, ma verrebbe troppo lunga...
Vi metto solo l'immagine per farvi vedere che anche nella cultura indù c'è un discorso di Albero della vita, di pietra filosofale ecc.




e io conosco queste cosine perché un ragazzo indù mi ha aiutato nella traduzione dei nomi che vedete qui :D

Riane Eisler nel "Il Calice e la Spada", scriveva:



La testimonianza più stupefacente del potere duraturo del serpente ci viene dal racconto della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso. è infatti il serpente che suggerisce alla donna di disobbedire a Geova e di mangiare lei stessa dall'albero della conoscenza.
Sono stati fatti molti tentativi, da parte dei teologi, di interpretare la storia della cacciata dal Paradiso in modi che non "spiegano" la barbarie, la crudeltà e l'insensibilità come una conseguente inevitabile del peccato originale.  Il fatto che il serpente, un antico simbolo oracolare o profetico della Dea, consigli a Eva, la donna archetipica, di disobbedire agli ordini di un Dio maschile, non è sicuramente un caso. Né è un caso che Eva segui in effetti il suggerimento del serpente: trasgredendo agli ordini di javé, mangia dal sacro albero della conoscenza.
Come l'albero della vita, anche l'albero della conoscenza era associato alla Dea. (Nota di Lunaria: nella meditazione sul ciclo mestruale c'è l'archetipo dell'Albero del Grembo: l'Albero del Grembo è un'immagine soggettiva del sacro albero della Luna, l'albero della vita e della conoscenza. Simile a un utero nella forma, carico di frutti, e con la Luna tra i rami, fornisce un legame conscio tra la Donna, le Energie del suo Ciclo e la Luna.)


Inoltre, nell'antica realtà sociale e mitica (come avveniva ancora per la Pizia in Grecia e con la Sibilla a Roma), la saggezza e la rivelazione divina si manifestavano attraverso una Sacerdotessa. Secondo il punto di vista della realtà precedente, gli ordini di questo potente dio, javè, per cui Eva non poteva cibarsi da un albero sacro (della conoscenza, della saggezza divina o della vita) sarebbero stati non solo innaturali, ma anche blasfemi. Boschetti d'alberi sacri erano parte integrante della vecchia religione. Lo stesso vale per i riti volti a indurre negli adoranti uno stato di coscienza ricettivo alle rivelazioni della Dea, riti officiati dalle donne, in quanto Sacerdotesse della Dea. Insomma, nell'ambito della vecchia realtà matriarcale, javé non avrebbe avuto il diritto di dare simili ordini. Ma, visto che erano stati dati, non ci si poteva aspettare che Eva o il serpente in quanto rappresentanti della Dea, li avrebbero osservati.

Nota di Lunaria: si noti come Todi Ragini, celebre personaggio simbolico della cultura indù, sia associata al serpente e all'albero.


Dirette al primo pubblico della Bibbia, il popolo di Canaan, che probabilmente si ricordava ancora le terribili punizioni che gli uomini che portavano con sé gli dei della guerra e del tuono avevano inflitto ai loro antenati, le orribili conseguenze della disobbedienza di Eva agli ordini di javé erano più che una semplice allegoria della "colpevolezza" dell'umanità. Erano un chiaro monito a evitare il culto della Dea, che ancora resisteva. La "colpa" di Eva quando si rifiutò di ubbidire a javé e s'azzardò ad attingere personalmente alla fonte della conoscenza, era in sostanza il rifiuto di rinunciare a quel culto. E siccome fu Eva, la prima donna, il simbolo della donna, a rimanere legata all'antica fede, più di Adamo, che si limitò a seguire il suo esempio, la punizione per lei doveva essere più tremenda. Da quel momento, si sarebbe dovuto sottomettere in tutto e per tutto. Le sue sofferenze si sarebbero moltiplicate, e con esse, la prole, il numero dei figli che avrebbe generato. E per l'eternità sarebbe stata condannata a essere dominata da questo dio vendicativo e dal suo rappresentante terreno, l'uomo. A parte questo, lo svilimento del serpente e l'associazione della donna al male erano un modo per screditare la Dea.

Il passo, in Genesi 3:16, "moltiplicherò grandemente le tue pene e la tua gravidanza; avrai figli nel dolore e desidererai tuo marito, ed egli dominerà su di te" ha senso se si considera la storia della cacciata dal Paradiso terrestre come una favola androcratica su come le popolazioni ugualitarie che adoravano la Dea, dedite all'agricoltura furono conquistate da pastori bellicosi e dominati dai maschi, e di come ciò segnò la fine della libertà sessuale e riproduttiva della donna. Il passo "moltiplicherò grandemente le tue pene e la tua gravidanza" indica chiaramente che a quell'epoca le donne persero non solo il diritto a scegliere il loro compagno sessuale ma anche quello di usare le tecnologie del controllo delle nascite (Nota di Lunaria: il cristianesimo è ANCORA CONTRARIO all'uso del preservativo proprio perché il preservativo LIBERA le donne dalla gravidanza e permette sia all'uomo che alla donna di godere liberamente!!!)

Che l'uso dei contraccettivi risalga all'antichità è dimostrato da antichi papiri egiziani, che descrivono l'uso di spermicidi.


Vedremo più sotto che il serpente in Genesi non è "il diavolo" (quella è un'associazione che nacque secoli dopo e in piena età cristiana!!! Gli Ebrei non avevano il diavolo cristiano e neppure gli angeli erano come li credono i cristiani!). Difatti, se andate a spulciare su un forum ebraico e vi leggete gli approfondimenti sugli "angeli"...

"No, non sono angeli.
Il mal'ach è un'azione divina che nella gran parte dei casi biblici è espletata da uomini, ma può essere effettuata da animali o cose inanimate, ad esempio il vento, la grandine o la pioggia. Ad esempio vengono tradotti con angeli anche i tre personaggi che visitarono Abramo. In quel caso il testo posta "anashim" che letteralmente vuol dire "uomini" ma che in linguaggio biblico vuol dire "personaggi altolocati". Eppure anche lì l'ignorante traduttore traduce con angeli. E sono gli stessi che vanno da Lot. Sono azioni divine impersonate , in questo caso da qualcuno con sembianze umane, ma lì si tratta proprio di azione divina. Si tratta sempre di un'azione divina, eseguita da uomo, animale o cosa, che termina con il compimento della missione per la quale il malach è stato concepito. Mi rendo conto che non è facile spiegare concetti di lingua ebraica copo 2000 anni di distorsioni e di ignoranza della lingua sacra." (Tratto da Negev http://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=60792049)

"Infatti i demoni sono concetti cristiani, non ebraici. I vangeli non sono opere ebraiche. Il serpente, "nachash" in ebraico è solo un simbolo e rappresenta lo "yetzer harà", cioè la natura materiale dell'uomo che non è affatto deteriore e negativa, ma qualcosa di indispensabile per vivere, mangiare, procreare ecc. ma che deve essere regolata dall'"yetzer hatov", cioè la buona inclinazione: la morale, l'etica, il rispetto delle leggi, il senso del dovere. Nella genesi, la natura materiale, la curiosità, il senso di indipendenza e la voglia di scoprire, di sottrarsi alle regole, sono simboleggiate dal serpente. E' la natura umana di Eva che parla a se stessa e si chiede perché mai non debba cogliere dall'albero della conoscenza. Non dovrebbe farlo semplicemente perché lo ha detto D-O. Unica limitazione in mondo di assoluta libertà e di assoluto benessere e felicità. La natura umana però è posta di fronte alla scelta dell'ubbidienza o della libertà di sbagliare. L'uomo ha delle regole che a volte non comprende (o molto spesso). L'osservanza non sempre ha una motivazione logica. Lo ha stabilito D-O e dovrebbe bastare. Allo stesso modo, per l'ebreo non vi è una logica sul perché non è permesso mangiare il maiale o i molluschi: è una legge della Torah e questo è sufficiente, senza cercare di capirne le motivazioni.
Il serpente quindi non c'entra nulla con satana, anche perché "satan" in ebraico è sempre il contrappositore, sempre la cattiva inclinazione "yetzer harà" (indispensabile) e non è mai un essere spirituale, ma solo un concetto espresso da un termine che non indica mai una entità e che è sempre preceduto dall'articolo "ha", "hasatan", il satan" e mai inteso come Satana, nome proprio. Anche nel libro di Giobbe il satan è sempre una voce umana, di un nemico umano, un accusatore umano. In un tribunale il satan è come la pubblica accusa, cui deve contrapporsi la difesa.
I concetti demonologici e angelologici sono totalmente estranei all'ebraismo e provengono dalle correnti enochiche, presenti in quella regione intorno ai primi due secoli prima dell'era volgare e molti si ostinano a considerare ebraiche, ma che erano tutt'altro, probabilmente costituite da individui provenienti da altre regioni circostanti, da Babilonia e altro, con mitologie e concetti estranei. Non bisogna dimenticare che erano terra di grandi spostamenti e di trasmigrazioni. Probabilmente Paolo fu influenzato da quelle culture e questo si sposa molto male con la sua autodefinizione (o da parte di chi per lui redigeva), di essere Giudeo, della tribù di Biniamin e allievo di Gamliel (questi era una grande autorità rabbinica dell'epoca e se Paolo era suo allievo allora aveva davvero capito poco del suo insegnamento)."

"Innanzi tutto che fossero demoni lo dicono solo i vangeli che sono testi cristiani e non ebraici. A mio avviso si trattava solo di poveri infermi di epilessia o di altre malattie neurologiche. Per quanto riguarda Belzebù, anche questo è frutto della fantasia cristiana e della assoluta ignoranza della lingua ebraica. Baal zevuv significa "signore delle mosche", cioè colui che porta i microbi, cioè le contaminazioni (di cui gli insetti sono un vettore). L'opera di guaritore del nazareno, probabilmente faceva ritenere all'uditorio che egli fosse in grado di dominare le malattie trasmesse da microbi o da agenti contaminanti.
Il tuo ritenere scontato (fino ad ora) che per gli ebrei esistesse satana, si basa sulla conoscenza della letteratura cristiana non di quella ebraica.
I cristiani hanno stravolto completamente la traduzione, talvolta in buona fede, talvolta per pura ignoranza dell'ebraico, talvolta perché non è possibile tradurre tutto correttamente, altre volte per errori di trascrizione ed infine, molto spesso, per appoggiare sul Tanach, le teorie neotestamentarie.
Trovami un solo punto del Tanach dove si ammette l'esistenza di demoni o di angeli. Chiunque parli ebraico sa bene che mal'ach vuol dire inviato, messaggero, rappresentante e non angelo e che si tratta di azioni divine, non di esseri spirituali. "Angelo " viene dal grego anghelos (messaggero) che tradurrebbe in modo limitato il "mal'ach".
L'ingresso di angeli e demoni nell'ebraismo è un fenomeno medioevale e riisulta sempre da contaminazioni cristiane dovute alla catastrofe dell'esilio. Per l'ebreo esiste solo un essere spirituale cioè D-O. Nessun essere spirituale, nè buono, nè cattivo, esiste al di fuori di D-O, altrimenti si tratta di politeismo" Info tratte da Negev http://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=60792049

Perché di fatto il concetto di angelo non esiste nell'Antico Testamento al modo che i cristiani lo pensano! E gli stessi "angeli", quelli invocati nelle pratiche "ebraiche proibite", sono nomi di potenza e distruzione e non certamente i dolci angioletti cuoriciosi che piacciono ai cattolici! Ma lo vedremo meglio nel prossimo post...



Olocausto: La parabola ebraica "Olah" significa "ciò che ascende"; l'olocausto era il più tipico sacrificio presso gli Ebrei. Bruciando con il fuoco la propria offerta (carni di animali) essa veniva consumata completamente e trasformata in fumo che saliva al cielo, la casa di Dio. 





 o anche nella vicenda di Caino e Abele:

che gli gnostici usarono per affermare che:

"Con i Cainiti, l'interpretazione negativa della rivelazione anticotestamentaria porta a considerare la bibbia come rivelazione di un Demiurgo perverso e negativo, che è il dio degli ebrei. Perciò Caino, i Sodomiti, Esaù, demonizzati nell'antico testamento, divengono i portatori di una conoscenza rivelata con valore salvifico, che il testo biblico ha cancellato e trasformato in manifestazione del male etico e della ribellione a Dio. L'esegesi cristiana e rabbinica viene capovolta nei suoi termini essenziali, e dove essa riconosce il bene, i Cainiti individuano il male, e viceversa. La posizione ideologica nei riguardi di Caino da cui i settari trassero il nome è attestata anche in altre formazioni gnostiche. Caino è spesso considerato il portatore della vera rivelazione che rende possibile, attraverso il tradimento del Cristo e la sua morte, la liberazione del mondo dalle potenze inferiori o Arconti. Valga per tutti il passo nel quale Ippolito attribuisce ad un'altra setta, quella dei Perati, questo insegnamento: "Caino è colui del quale il Dio di questo mondo, cioè il dio ebraico, non gradì il sacrificio, gradendo, invece, il sacrificio cruento di Abele poiché Il Signore di questo mondo ama il sangue".


Nota di Lunaria: alcuni si spingono oltre nell'interpretazione nell'affermare che siccome Caino va ad Oriente, verso il Sole, sarebbe una specie di eroe solare, un Sol Invictus."


Sale: Il Mar Morto ha una concentrazione salina del 31% e con l'evaporazione dell'acqua la riva si imbianca di una crosta di sale. Il sale non mancò mai in Palestina: serviva per insaporire i cibi e conservare la carne e il pesce. D'altraparte, per la desolazione delle zone in cui lo si raccoglieva, divenne anche simbolo di distruzione e sterilità. Ecco perché la moglie di Lot, disobbediente, viene tramutata proprio in una statua di sale.

Nota di Lunaria: ovviamente c'è anche un'interpretazione esoterica del sale; vedi i miei post sull'Alchimia: http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/alchimia-1-introduzione-ai-motivi.html

Donne Egizie: Rispetto a quanto avveniva nelle altre società antiche, la donna in Egitto godeva di maggior diritti e libertà. Poteva possedere beni e amministrarli in proprio, si muoveva senza scorta, non aveva l'obbligo di coprirsi il capo né esistevano zone in casa dove non potesse accedere. Si sposava molto giovane e in famiglia godeva dello stesso rispetto del marito. I matrimoni però erano combinati.

Nilo: Veniva considerato il "Padre dell'Egitto" e l'Egitto stesso era "Dono del Nilo": la vita infatti dipendeva dalla portata e dalla regolarità delle piene del fiume che invadeva i terreni circostanti rendendoli molto fertili. In Egitto e Mesopotamia le carestie potevano verificarsi se le alluvioni erano eccessive o insufficienti; quando a questo si aggiungeva un periodo prolungato di forte soffio del vento caldo e secco proveniente da Oriente e chiamato "Chamsin", le conseguenze erano devastanti. "Chamsin" in arabo significa "50" in riferimento alla lunga durata del suo soffiare violento nel deserto.
 

Nota di Lunaria: Analogo concetto lo troviamo per il Gange, personificato da una Dea, Ganga

Vasellame: Tra il vasellame usato nelle case egizie più ricche spiccavano le coppe d'argento per il loro esclusivo valore e per il significato simbolico. L'argento era raro e veniva importato dalla Siria in cui il proprietario beveva in onore degli Dei o leggeva il futuro dalla disposizione di gocce d'olio versate sulla superficie dell'acqua.

Mosé salvato dalle acque


Lo stesso racconto era già presente per Sargon, re di Akkad.

Anche lui era stato affidato dalla madre alle acque del fiume.
Senza contare che l'intera storia di Mosé pullula di "cose strambe" a cominciare dalla storia di Zippora e dello "sposo di sangue", ad Esodo 4:24:

"Or avvenne per la strada, nell'alloggio, che il Signore lo incontrò e cercava il modo di metterlo a morte. Infine Zippora prese una selce e stroncò il prepuzio di suo figlio e fece in modo che esso gli toccasse i piedi, dicendo: Perché mi sei sposo di sangue. Di conseguenza lo lasciò andare. Allora ella disse: sposo di sangue, a causa della circoncisione."


Che lascia intendere pienamente la sete di sangue di questo Jahvè o spirito cattivo di Jahvé... storiella biblica bislacca che nessuno ha mai capito né tantomeno spiegato! E sarebbe interessante riportarvi tutto il commento esegetico... lo rimando ad un prossimo post!

Luigi Pareyson, chiedendosi chi è Dio, affermava:

"Se c'è, nel senso chiarito, negatività in Dio, non si dovrà dire che c'è un'ombra in lui? L'espressione è forte, probabilmente esagerata; ma non mi sembra ingiustificabile all'interno del linguaggio mistico e simbolico cui si deve ricorrere parlando della divinità. Certo, lo stesso Barth parla della "mano sinistra" di Dio, e anche questa è una metafora, probabilmente meno spinta della precedente. Che sia meglio fermarsi all'espressione barthiana, la quale ha tuttavia un senso preciso nell'ambito di una concezione del nulla diversa da quella sostenuta in queste pagine?"

"Non è strano che per parlare di Dio sia necessario ricorrere a ossimori, contraddizioni, paradossi: parlare ad esempio di Dio prima di Dio, di Dio e Deità, di Dio e Sopradivinità, tutte espressioni simboliche della sua abissalità. L'abissalità di Dio è data dalla sua libertà, ch'è inizio assoluto come desiderio d'esistenza e scelta prima come istituzione della possibilità del male; essa non esclude quindi aspetti sconcertanti, ma li situa nella sorgente viva della stessa positività. Ciò non significa fare di Dio una realtà notturna o conferirgli l'opacità della notte. L'oscurità dell'abisso è quella del mistero: notte profonda sì, ma rotta dai lampi improvvisi di intense illuminazioni, capaci di squarciare le tenebre più fitte mantenendone insieme la più densa e ricca insondabilità, con l'inesauribile promessa di sempre nuove rivelazioni." [...] "L'ombra in Dio è che gli si possa domandare: "Perché tanto male nel mondo, perché tanta malvagità e tante sofferenze?" e ch'egli non risponda che col suo silenzio."


Pareyson, uno dei miei autori cristiani preferiti, 


leggetevelo con sottofondo di buon UnBlack Metal!

 
Tetragrammaton



Ecco le 4 lettere - si noti che il nome di Dio inizia con la lettera più piccola dell'alfabeto ebraico, la Yod - del Nome Sacro. Vedi anche: http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/israele-esoterico-2-alfabeto-e-spirito.html


Queste 4 lettere indicano il nome rivelato da Dio a Mosé sul Sinai (monte che era già dedicato a un Dio precedente: Sahar/Sin, il Dio Lunare). Ricordo del culto a Sin lo si trova nel nome del monte Sinai (poi "ebracizzato" dal monoteismo ebraico) e nel deserto di Sin a sud di Canaan.


Ancora oggi gli ebrei non osano pronunciarle e leggono, al loro posto, Adonai (che significa "Signore") oppure "Ha Shem" (il nome).

Qual'è l'esatta pronuncia del Nome? E qual'è il suo significato? Mentre dell'esatta pronuncia del Nome erano custodi i sacerdoti del Tempio e oggi nessuno ne conserva memoria; il significato potrebbe essere "Colui che ci sarà, che agirà al momento giusto".

Sempre Pareyson scriveva: "Dio può dire: "Io sono così libero che sono libero anche dal mio essere, e il mio essere me lo do come voglio; la mia volontà è lo stesso atto di libertà che io sono; il mio atto di libertà è l'atto con cui io voglio essere quello che sono."

"Ego sum qui sum, 'Ehjeh 'Ascher 'Ehjeh, Io sono chi sono, Io sono chi mi pare, Io sono chi voglio, Io sono chi voglio essere, Io sono quello che voglio essere e voglio essere quello che sono, Io sono libero al punto di essere libero anche del mio essere, dalla mia essenza, della mia esistenza."


Cavalletta: Nella lingua ebraica ci sono almeno 8 nomi per indicare le cavallette, e quasi tutti contengono l'idea della distruzione e della fame insaziabile

Nota di Lunaria: confermo. Ho tenuto per qualche giorno una cavalletta e la sua fame era prodigiosa! Mangiano praticamente di tutto: verdura, pane, carne!

Cavallette e mosche erano spesso divinizzate per tentare di placarle: vedi Pazuzu e Baal Zebub; Baal Zebub probabilmente era un Dio che proteggeva dalle mosche, essendo mosca lui stesso, similmente a come Angitia o Luperca (legate ai serpenti e ai lupi) proteggevano da questi animali.



Manna: Il leggendario cibo (simile a brina) che Jahvé dona al suo popolo nel deserto; in realtà non ha proprio niente di miracoloso: è una sostanza densa, mielosa e resinosa che si forma sui rami della Tamarix mannifera come gocce di rugiada, cade a terra ed è ancora raccolta, nella penisola sinaitica, dagli Arabi che la consumano spalmata anche sul pane.

Toro: L'adorazione del Toro (ma anche del Capro, della Mucca e probabilmente anche dell'Asino) (*) era molto diffusa presso tutti i popoli dell'Oriente antico. Gli Egiziani adoravano il bue Api che veniva portato in processione una volta l'anno lungo le strade della città di Menfi e coperto di doni preziosi e di offerte.

Si noti come l'illustratore biblico abbia rappresentato la donna proprio vicino al Toro... Chissà perché... :P Forse perché nei popoli che adoravano il Toro la donna era Sacerdotessa...

 (*) Altro animale "strano", connesso molto di più al cristianesimo (gesù cavalca un asino) che non all'ebraismo.

la cosa curiosa è che troviamo in Tertulliano che i primi cristiani erano ritenuti adoratori di un Dio... Asino, o meglio di una testa d'asino ("Caput asininum" nel testo latino originale):






Una sorta di riferimento al Baphomet, la mostruosa testa adorata poi dai templari che ha fattezze che potrebbero ricordare un asino? Tra l'altro lo stesso Tertulliano ammette che i Giudei ebbero il culto dell'asino: "Essi conclusero che anche noi, come affini ai Giudei, siamo iniziati al culto di quello stesso idolo"
 

Quindi gli ebrei, oltre al Toro, adorarono anche l'Asino?
 

L'asino, comunque, ricorda un capro. E ci sono cascata anch'io, quando, intervistando i francesi Manzer, ho preso il loro asino (la mascotte del gruppo) per un caprone, scatenando la loro ilarità: http://intervistemetal.blogspot.it/2014/11/manzer-pictavian-black-metal.html

l'asino è molto simile al capro (adorato comunque in diverse zone e non si dimentichi il riferimento ad Azazel e il capro espiatorio!)

Non mi risulta che qualcuno abbia fatto uno studio sul rapporto "asino/primo cristianesimo", per cui mi limito solo a dire che "c'è sotto qualcosa" anche in riferimento alla storia dell'asina di Balaam (un'asina parlante!) e all'asino cavalcato da gesù. Forse il significato vero della vicenda (il simbolismo vero, legato all'asino) è ormai del tutto perduto, ma, basandoci su Tertulliano, non possiamo neanche escludere che, per un periodo, sia gli ebrei sia i cristiani adorassero effettivamente delle teste d'asino ed è inquietante quel muro affrescato con un graffito raffigurante un uomo crocifisso con la testa d'asino:




Parodia del cristianesimo? O prova storica che dimostra che per un periodo il cristianesimo o una delle sue sette adorava un gesù con la testa d'asino?

Dal mio punto di vista, io non escludo che i primi seguaci di gesù abbiano effettivamente adorato l'asino da lui cavalcato, considerandolo una sorta di animale sacro perché scelto dal "messia" (massì, prendiamo per buona anche l'altra credenza del "Dio egli stesso") come cavalcatura. Considerato il proverbiale feticismo dei cristiani per le ossa e i vestiti dei santi perché non avrebbero dovuto per davvero adorare l'asino cavalcato dal loro messia?!

Del resto, se adoravano il suo prepuzio, l'idea che adorassero anche il suo asino non è più scandalosa :P


Nota bene: anche Bachofen fa un commento molto lungo sull'asino. Ora qui non è possibile riportarlo tutto, e proprio perché non mi basta il tempo della connessione :P,  comunque in sintesi sappiate che l'asino è un animale iperboreo, legato ad Empusa e a Seth.

Spigolatura: La spigolatura era una pratica molto diffusa in tutte le civiltà contadine: quando si faceva il raccolto si lasciava qualcosa per i poveri, sia evitando di mietere fino all'ultimo angolo del campo (*) sia permettendo loro di ripassare sul terreno.



 Nella Bibbia troviamo anche il riferimento alla Mandragora, pianta magica per eccellenza:



 (*) In verità il grano non si mieteva tutto per via dello "Spirito del Grano"; e i culti dedicati alle divinità del grano (o della vegetazione in generale) erano tutti sanguinari:

Stralci tratti da Mircea Eliade "Trattato di Storia delle Religioni"

I Peruviani credono che le piante utili siano animate da una forza divina, che assicura la loro crescita e fertilità; l'effigie della ‘Madre del Granturco’ ("zara-mama"), per esempio, è fatta di fusti di granturco in forma di donna, e gli indigeni credono che ‘in quanto madre, ha il potere di produrre molto granturco’. Questa effigie è conservata fino al raccolto successivo, ma verso la metà dell'anno gli ‘stregoni’ le domandano se ha la forza di durare, e se la "zara-mama" risponde che si sente debole, la bruciano e ne fanno un'altra perché la sementa del granturco non perisca. Gli Indonesiani conoscono uno ‘spirito del riso’, potenza che fa crescere e fruttificare il riso; per questo trattano il fiore del riso come una donna gravida, prendendo molte precauzioni per captare lo ‘spirito’, chiuderlo in un canestro e conservarlo con cura nel granaio del riso. Se le piante appassiscono, i Karen della Birmania credono che l'anima ("Kelahz") del riso si è staccata da loro, e se non si riesce a riportarvela, il raccolto è perduto. Per questo si rivolgono certe formule all'‘anima’, alla forza che sembra non più attiva nella pianta: ‘Oh vieni, "Kelah" del riso, vieni! Vieni nel campo, vieni nel riso. Con semi dei due sessi, vieni! Vieni dal fiume Kho, vieni dal fiume Kaw, dal luogo dove si incontrano, vieni! Vieni dall'Occidente, vieni dall'Oriente. Dal gozzo dell'uccello, dalle mascelle della scimmia, dalla gola dell'elefante. Vieni dalla sorgente dei fiumi e dal loro estuario. Vieni dal paese dello Shan e del Birmano. Dai regni remoti, da tutti i granai, oh vieni. O Kelah del riso, vieni nel riso’.
I Minangkabauer di Sumatra credono che il riso sia protetto da uno spirito femminile, Saning Sari, che si chiama anche "indoea padi" (letteralmente ‘Madre del riso’). Certi cespi di riso, coltivati con cura speciale e trapiantati in mezzo al campo, rappresentano questa "indoea padi", e la sua forza esemplare si esercita in modo coattivo e benefico sull'intero raccolto.
Una ‘Madre del Riso’ ("ineno pae") è nota anche ai Tomori delle Celebes. Nella penisola malese, Skeat ha assistito alle cerimonie per la ‘Madre del Riso bambino’, dalle quali risulta che durante tre giorni la moglie dell'agricoltore è assimilata a una puerpera, appena l'‘anima del riso bambino’ è stata portata in casa. Nelle isole di Giava, Bali e Sombok si celebrano gli sponsali e le nozze di due pugni di riso, scelto fra le piante maturate prima dell'inizio del raccolto. La coppia di sposi è portata a casa e collocata nel granaio, ‘perché il riso possa moltiplicarsi’. In questi ultimi esempi si tratta di mescolanza di due rappresentazioni: la forza che moltiplica le piante e la magìa fecondatrice del matrimonio.
Si direbbe che questa personificazione della ‘forza’ attiva nella vegetazione si attui completamente quando i mietitori fanno, con le ultime spighe, un'effigie somigliante il più possibile a una figura umana, per solito una donna, oppure ornano di paglia una persona vera, dandole il nome dell'essere mitico che deve rappresentare; questa persona rappresenta sempre una certa parte cerimoniale. Così, in Danimarca, l'effigie chiamata ‘il Vecchio’ ("gammelmanden") è ornata di fiori e portata a casa con molti riguardi. Ma, secondo altre informazioni, si dava forma umana all'ultimo covone, raffigurandovi testa, braccia e gambe, e si gettava nel campo non ancora mietuto del vicino. Presso i Tedeschi, ‘la Vecchia’ o ‘il Vecchio’ erano gettati nel campo del vicino, o portati a casa e conservati fino al raccolto successivo. Però il mietitore che falciava l'ultimo covone, o l'estraneo che per caso passava lungo il campo, o il contadino stesso, erano identificati con quest'essere mitico. In Svezia, per esempio, la ragazza che falciava le ultime spighe doveva attaccarsele al collo, portarle a casa, e nella festa per la fine della mietitura doveva ballare con quest'effigie.
In Danimarca la falciatrice balla con il fantoccio formato dalle ultime spighe e piange, considerandosi ‘vedova’, poiché è sposata a un essere
mitico destinato alla morte.
In Scozia, l'ultimo pugno di grano è chiamato la ‘Vecchia’ ("Cailleach") (1), e ciascuno cerca di evitare che spetti a lui falciarlo, per paura della carestia, perché si crede che gli toccherebbe di dar da mangiare a una vecchia immaginaria fino al raccolto successivo.
I Norvegesi credono che "skurekail" (‘il mietitore’) vive tutto l'anno sui campi, non veduto, e mangia il grano del contadino. Viene catturato nell'ultimo covone, col quale si fa un fantoccio antropomorfo chiamato "skurekail". I Bulgari chiamano l'ultimo covone ‘Regina del Grano’; lo vestono con una camicia da donna, lo portano in giro per il villaggio, poi lo gettano a fiume per assicurare la pioggia, in vista del successivo raccolto; oppure lo bruciano e ne spargono poi le ceneri sui campi per accrescerne la fertilità.

(1) Nota di Lunaria: in realtà il simbolismo di Cailleach è molto più complesso: è la personificazione della Crona, argomento che andrebbe trattato a parte, essendo molto complesso



In certe regioni della Germania, l'estraneo è legato dai mietitori e deve pagare una multa per ricuperare la libertà. Il gioco è accompagnato da canzoni, che parlano chiaro; in Pomerania, per esempio, il capo dei mietitori dice:

‘Gli uomini sono pronti,
le falci sono curve,
il grano è grande e piccolo.
Si tratta di falciare quel signore!’

E nel distretto di Stettino:

‘Colpiremo il visitatore,
con le nostre spade nude,
con cui tosiamo campi e prati.’

La stessa usanza vige contro l'estraneo che si avvicina all'aia della battitura: viene catturato, legato e minacciato.
E' probabile che queste siano reminiscenze di un complesso drammatico rituale implicante un vero sacrificio umano. Non bisogna supporre, in base a queste reminiscenze, che tutte le società agricole, ove ancor oggi si lega e si minaccia di morte l'estraneo còlto nel campo mietuto, abbiano praticato sacrifici umani in occasione del raccolto. E' probabile che tutte queste cerimonie agricole si siano diffuse, partendo da qualche centro (Egitto, Siria, Mesopotamia), in buona parte del mondo, e che molti popoli abbiano assimilato soltanto frammenti della scena originale. Già nell'antichità classica il ‘sacrificio umano’ in occasione della mietitura era soltanto vago ricordo di tempi antichi, superati da un pezzo. Così una leggenda greca ricorda Lityerses, un bastardo del re frigio Mida, noto per il suo favoloso appetito e per la passione con cui godeva di mietere il suo grano. Ogni estraneo che passava accanto al suo campo era convitato da Lityerses e poi condotto al campo e costretto a mietere in gara con lui. Se rimaneva sconfitto, Lityerses lo legava in un covone, gli troncava la testa col falcetto e gettava il cadavere nel campo, finché Eracle sfidò Lityerses, lo vinse, gli tagliò la testa col falcetto e gettò il corpo nel fiume Meandro; questo lascia capire che Lityerses faceva lo stesso con le sue vittime. E' probabile che molti secoli prima i Frigi avessero realmente compiuto sacrifici umani al raccolto; secondo certi indizi, questo sacrificio era egualmente frequente in altre regioni dell'Oriente mediterraneo.

Nota di Lunaria: la vicenda horror più famosa è quella narrata in "I figli del grano" di Stephen King e "La festa del raccolto" di Thomas Tryon. Dal racconto di King è stata tratta la celebre saga "Grano Rosso Sangue". Consiglio di leggere sia il racconto di King, uno dei suoi racconti migliori, e vi consiglio caldamente anche il romanzo di Tryon, parecchio interessante; tempo permettendo, prima o poi, ne farò uscire anche una recensione.





 Ovviamente non poteva mancare il clone cattolico di Demetra: "la vergine del grano"

 Che gli ebrei avessero praticato culti agrari (uva e grano) lo sappiamo da Osea:
 



Secondo me la Dea invocata dagli ebrei (per l'uva) era Tanit, che è proprio rappresentata con un enorme grappolo d'uva in mano, e probabilmente nell'altra mano stringe un melograno; notare la grande falce di luna che le sormonta il capo e che ricorda due corna; avevo già parlato del simbolismo delle corna e di come i cristiani demonizzarono questo simbolo pagano di potenza.
http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/siria-2-litolatria-atargatis-astarte.html
http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/il-caprone-1-i-veri-significati.html
http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/il-caprone-2-i-veri-significati.html

 L'uva era presente anche ai tempi di Assurbanipal a Ninive, che coltivava la vite nei giardini reali.

"Commettere Prostituzione": Era adorare degli Dei che non fossero Jahvé. Tra l'altro, più che di monoteismo ("affermare che esista un solo dio") si dovrebbe parlare di "monolatria" (scegliere di adorare un unico dio, scelto tra tanti);  difatti nella Bibbia in realtà in molti passaggi si lascia intendere l'esistenza di altri Dei oltre a Jahvé, cosa che sarebbe assurda da affermare, se di fatto chi scrisse quei testi non fosse stato convinto a priori che oltre a Jahvé esistessero altri Dei.

(Per esempio in Esodo, Jahvé afferma: "Farò giustizia di tutti gli Dei d'Egitto/Eseguirò giudizi": ma come è possibile che il dio Jahvé faccia giustizia sugli altri Dei, se gli altri Dei non esistevano?!? Appare evidente che qui chi scrisse il testo CREDEVA ANCORA AGLI DEI; di per sé la monolotria non esclude il credere a tanti altri Dei: ne si sceglie uno solo, ma non si negano gli altri). E anche a Giosuè troviamo passaggi simili  ("Non invocate i loro Dei, non giurate per loro, non rendete ad essi culto, non prostratevi innanzi ad essi; al contrario continuate a restare legati al vostro Dio come avete fatto fino ad oggi"). Siamo ben lontani dall'affermazione: "Gli Dei degli altri non esistono"; piuttosto si lascia intendere che il proprio Dio, chiamato Jahvé, sia più forte degli altri Dei; cosa che appunto rientra nella monolatria!




Difatti Giosué a 23:16 lo dice chiaramente: servire gli altri Dei è stupido, dal suo punto di vista, perché è Jahvé ad essere il più forte (aver vinto i nemici in battaglia che ha permesso di far ottenere agli Ebrei diverse terre)

In tutto l'antico testamento il ritornello non è quello del dire che gli altri Dei non esistano, ma quello di adorare un unico Dio, le cui qualità (e persino modi di adorazione) sono uguali a quelle di tanti altri Dei, ma che, secondo gli Ebrei, egli è il Dio più forte in assoluto!

Gli Dei più famosi sono (i) Baal (i tanti Dei maschili) e Astarte: http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/siria-2-litolatria-atargatis-astarte.html

Gli stessi ebrei adorarono questi Dei perché di volta in volta erano ritenuti più potenti di Jahvé, oltre che "Signori della Pioggia", per "fecondare" i campi. Mircea Eliade nel suo "Trattato di Storia delle Religioni" ne parla a fondo, in un lunghissimo capitolo; prima di trattare Jahvè, riporto le analisi ai tanti Dei simili a lui...

La più popolare preghiera del mondo è rivolta al ‘Padre nostro che è nei Cieli’. Potrebbe darsi che la preghiera più antica fosse diretta allo stesso Padre celeste; questo spiegherebbe la testimonianza di un Africano della tribù degli Ewe: ‘Dove è il Cielo, ivi è anche Dio’. La scuola etnografica di Vienna, e in primo luogo il Padre W. Schmidt, autore della più vasta monografia sull'origine dell'idea di divinità, cerca addirittura di dimostrare l'esistenza di un monoteismo primordiale, basato essenzialmente sulla presenza degli dèi celesti nelle società umane più primitive. Lasciamo per ora sospeso il problema del monoteismo originario. Quel che non ammette alcun dubbio è la quasi-universalità della credenza in un Essere divino celeste, creatore dell'Universo e garante della fecondità della terra (grazie alle piogge che versa). Questi Esseri sono dotati di prescienza e sapienza infinite, hanno instaurato le leggi morali, spesso anche i rituali del clan, durante la loro breve dimora sulla terra; sovrintendono all'osservanza delle leggi, e fulminano con la folgore chi le viola.
Prima di passare in rassegna alcune figure divine di struttura uranica, cerchiamo di capire il significato religioso del Cielo in sé. Senza neppure ricorrere alle favole mitiche, il Cielo rivela direttamente la sua TRASCENDENZA, la sua FORZA e la sua SACRALITA'. La contemplazione della volta celeste, da sola, suscita nella coscienza primitiva un'esperienza religiosa. Questa affermazione non implica necessariamente un ‘naturismo’ uranico. Per la mentalità arcaica, la Natura non è mai esclusivamente ‘naturale’. L'espressione ‘contemplazione della volta celeste’ ha un significato del tutto diverso se la riferiamo all'uomo primitivo, aperto ai miracoli quotidiani con un'intensità difficilmente immaginabile per noi. Questa contemplazione equivale, per lui, a una rivelazione. Il Cielo si rivela quel che è in realtà: infinito, trascendente. La volta celeste è per eccellenza ‘cosa del tutto diversa’ dalla pochezza dell'uomo e del suo spazio vitale. Il simbolismo della sua trascendenza si deduce, diremmo, semplicemente dalla constatazione della sua infinita altezza. ‘L'altissimo’ diventa, nel modo più naturale, un attributo della divinità. Le regioni superiori inaccessibili all'uomo, le zone sideree, acquistano i prestigi divini del trascendente, della realtà assoluta, della perennità. Queste regioni sono la dimora degli dèi, e alcuni
privilegiati vi giungono per mezzo dei riti di ascensione celeste; fin lassù si innalzano, secondo i concetti di certe religioni, le anime dei morti. L'‘alto’ è una categoria inaccessibile all'uomo in quanto tale; appartiene di diritto alle forze e agli esseri sovrumani; colui che si innalza salendo cerimonialmente i gradini di un santuario o la scala rituale che
porta al Cielo, cessa allora di essere un uomo; le anime dei
morti privilegiati, nella loro ascensione celeste, hanno abbandonato la condizione umana. Tutto questo si deduce dalla semplice contemplazione del Cielo; sarebbe però un grave errore considerarla una deduzione logica, razionale. La categoria trascendente dell'‘altezza’, del sopraterrestre, dell'infinito, si rivela all'uomo intero, alla sua intelligenza non meno che alla sua anima. Il simbolismo è un dato immediato della coscienza totale, vale a dire dell'uomo che scopre di essere uomo, che prende coscienza della propria posizione nell'Universo; queste scoperte primordiali sono legate al suo dramma in modo tanto organico che lo stesso simbolismo determina sia l'attività del suo subcosciente, sia le più nobili espressioni della sua vita spirituale. Insistiamo dunque su queste distinzioni: se il simbolismo e il valore religioso del Cielo non sono dedotti, in modo logico, dall'osservazione calma, obiettiva della volta celeste, non sono tuttavia prodotto esclusivo dell'affabulazione mistica e delle esperienze
irrazionali religiose. Ripetiamolo: il Cielo rivelò la propria trascendenza prima di venir valorizzato religiosamente. Il Cielo ‘simboleggia’ la trascendenza, la forza, l'immutabilità, semplicemente con la sua esistenza. ESISTE perché E' ALTO, INFINITO, IMMUTABILE, POTENTE.
Che il semplice fatto di essere ‘alto’, di trovarsi ‘in alto’, equivalga ad essere ‘potente’ (nel senso religioso della parola) e ad essere, in quanto tale, saturo di sacralità - è dimostrato dall'etimologia stessa di certi dèi. Per gli Irochesi, tutto quel che possiede "orenda" si chiama "oki", ma il senso della parola "oki" sembra sia ‘chi sta in alto’; troviamo perfino un
Essere Supremo celeste chiamato Oke. Le popolazioni Sioux ("Plain Indians" dell'America del Nord) esprimono la forza magico-religiosa ("mana", "orenda", eccetera) col termine "wakan", foneticamente molto vicino a "wakan", "wankan", che in lingua dakota significa ‘in alto, al disopra’; il sole, la luna, il fulmine, il vento possiedono "wakan", e questa forza è stata personificata, sebbene imperfettamente, in Wakan, che i missionari traducono ‘Signore’, ma che è, più esattamente, un Essere Supremo celeste, manifestantesi specialmente nel fulmine. La divinità suprema dei Maori si chiama Iho; "iho" vuol dire ‘eccelso, in alto’. I neri Akposo conoscono un dio supremo Uvolavu; il nome significa ‘ciò che sta in alto, le regioni superiori’. Si potrebbero moltiplicare gli esempi. Vedremo fra breve che ‘l'altissimo, il lucente, il cielo’, sono nozioni esistite più o meno manifestamente nelle espressioni arcaiche con le quali i popoli civili esprimevano l'idea di divinità. La trascendenza divina si rivela direttamente nell'inaccessibilità, l'infinità, l'eternità e la forza creatrice del cielo (pioggia). Il modo di essere celeste è una ierofania inesauribile. Di conseguenza tutto quel che avviene negli spazi siderei e nelle regioni superiori dell'atmosfera  -  la rivoluzione ritmica degli astri, le nuvole che si inseguono, le tempeste, il fulmine, le meteore, l'arcobaleno  -  sono momenti di questa medesima ierofania. Quando si sia personificata questa ierofania, quando le DIVINITA' DEL CIELO si siano rivelate, prendendo il posto della sacralità celeste come tale, è difficile precisare. Una cosa però è certa, che le divinità celesti sono state, fin dall'inizio, divinità supreme; che le loro ierofanie, diversamente drammatizzate dall'esperienza mitica, sono rimaste, in seguito, ierofanie uraniche; e quella che si potrebbe chiamare la storia delle divinità celesti è in gran parte la storia delle intuizioni di ‘forza’, di ‘creazione’, di ‘leggi’ e di ‘sovranità’. Passeremo rapidamente in rassegna alcuni gruppi di divinità celesti; ci servirà a capire meglio sia l'essenza di queste divinità, sia il destino della loro ‘storia’.
Il termine sumerico che significa divinità, "dingir", aveva il senso primitivo di epifania celeste: ‘luminoso, brillante’ ("dingir" si traduceva in accadico "ellu", ‘luminoso, brillante’). L'ideogramma che esprimeva la parola ‘divinità’ (pronunciata "dingir") era lo stesso di quello corrispondente alla parola ‘cielo’ (e in questo senso si pronunciava "ana", "anu"). In origine il segno grafico era un geroglifico rappresentante una stella. Con la pronuncia "an(a)", "an(u)", il geroglifico significa trascendenza spaziale propriamente detta: ‘alto, essere alto’.
Lo stesso segno "an" serve anche a esprimere ‘il cielo piovoso’ e, per estensione, la pioggia. L'intuizione della divinità come tale ("dingir") era dunque fondata sulle ierofanie celesti (‘alto’, ‘lucente’, ‘brillante’, ‘cielo’, ‘pioggia’). Abbastanza presto queste ierofanie si staccarono dall'intuizione della divinità come tale ("dingir") e si concentrarono intorno a una
divinità personificata, Anu, che esprimeva il cielo col proprio nome, e che comparve nella storia prima del quarto millennio avanti Cristo. Di origine sumerica, Anu divenne il capo del pantheon babilonese. Ma, come gli altri dèi celesti, cessò col tempo di rappresentare una parte di capitale importanza. Almeno in tempi storici, Anu era un dio alquanto astratto; il suo culto non è molto diffuso; è raramente invocato nei testi religiosi, e non figura nei nomi teofori. Non è un dio creatore come Marduk; non si conoscono statue di Anu, e questo sembra una conferma della sua inattualità nel culto e nella vita babilonese dei tempi storici.
La sede di Anu è naturalmente in cielo; il suo palazzo, nel punto più elevato della volta celeste, non fu raggiunto dalle acque del diluvio. Lassù, come nell'Olimpo della mitologia ellenica, è visitato dagli dèi.
Il suo tempio di Uruk si chiama "E-an-na", ‘Casa del cielo’. In cielo Anu siede in trono, con tutti gli attributi della sovranità: scettro, diadema, copricapo e bastone. E' il Sovrano per eccellenza e le insegne della sua regalità sono fonte e giustificazione dell'autorità monarchica;
simbolicamente, il re deriva il suo potere direttamente da Anu (101). Per questo, lo invocano soltanto i sovrani, non il volgo. E' ‘Padre degli dèi’ ("abu ilani") e ‘Re degli dèi’; il nome ‘Padre’ è inteso come autorità sovrana, più che in senso familiare. Nel Codice di Hammurabi, Anu è invocato come ‘re degli Anunnaki’, e i suoi epiteti più comuni sono "il shame", ‘dio del Cielo’, "ab shame", ‘padre dei Cieli’, "shar shame", ‘re dei Cieli’. La regalità stessa è scesa dal Cielo. Le stelle formano il suo esercito, perché Anu, in quanto sovrano universale, è un dio guerriero (confronta ‘il Signore degli Eserciti’ nella Bibbia). La sua festa principale coincide con l'inizio dell'anno nuovo, e quindi con la commemorazione della creazione del mondo. Ma col tempo la festa dell'anno nuovo fu consacrata a Marduk, dio più giovane (la sua ascesa risale al tempo di Hammurabi, verso il 2150 avanti Cristo), più dinamico (lotta col mostro marino Tiamat e lo uccide), e sovrattutto dio creatore (Marduk creò il mondo dal corpo di Tiamat). Questa sostituzione di Marduk ad Anu nella festa principale corrisponde alla promozione di Enlil-Bel, divinità del cielo in tempesta, piovoso e
fecondatore, al grado di dio supremo babilonese. Le conseguenze di queste sostituzioni di divinità dinamiche, creatrici e accessibili, risulteranno più chiare nelle pagine seguenti.

Dèi della tempesta.

La ‘specializzazione’ delle divinità celesti e delle divinità dell'uragano e della pioggia, come l'accentuazione dei loro poteri fecondatori, si spiega in gran parte con la struttura passiva delle divinità uraniche, e con la loro tendenza a cedere il posto ad altre ierofanie più ‘concrete’, più nettamente
personificate, implicate in modo più diretto nella vita quotidiana degli uomini. E' questo un destino che deriva anzitutto dalla trascendenza del cielo e dalla progressiva ‘sete di concreto’ dell'uomo. Il processo di ‘evoluzione’ delle divinità celesti è alquanto complesso; per facilitarne
l'esposizione, distingueremo due linee di sviluppo: 1) il Dio del cielo, padrone del mondo, sovrano assoluto (despota), custode delle leggi; 2) il Dio del cielo creatore, il maschio per eccellenza, sposo della Grande Dea tellurica, distributore della pioggia. E' inutile precisare che in nessun luogo
s'incontra uno dei due tipi allo stato puro, che le linee di sviluppo non sono mai parallele, ma si intersecano continuamente, che il ‘Sovrano’ è contemporaneamente distributore di piogge, e che il ‘fecondatore’, è anch'egli un despota. Ma possiamo affermare senza esitazione che il processo di specializzazione tende a delimitare con sufficiente esattezza
le giurisdizioni dei due tipi divini.
Come esempio caratteristico della prima classe  -  i sovrani e i custodi delle leggi  -  citiamo T'ien, Varuna, Ahura Mazda. La seconda classe  -  quella dei ‘fecondatori’  -  è morfologicamente più ricca. Ma in tutte le figure che si raccolgono sotto questo titolo, notiamo le costanti seguenti: la ierogamia con la Dea Terra; il tuono, la tempesta e la pioggia; le relazioni rituali e mistiche col toro. Fra gli dèi della seconda classe  -  ‘fecondatori’ ma anche a dèi della tempesta’ -  si possono citare Zeus, Min e il dio ittita, ma anche Parjanya, Indra, Rudra, Hadad, Ba'al, Juppiter Dolichenus, Thor;
in breve i cosiddetti dèi della tempesta. Ciascuna delle divinità citate ha naturalmente la sua ‘storia’, che la distingue più o meno nettamente dal suo vicino nella serie; nella loro ‘composizione’, come si dice con visione chimica della mitologia, entrano diversi componenti. Ma ci rappresenteremo tutto questo più chiaramente quando studieremo
anche la ‘forma’ del dio, e non soltanto la sua ‘forza’. Per ora, in questo paragrafo, ci occuperemo anzitutto dei loro elementi d'unità, delle loro valenze comuni. I più importanti sono: la forza generatrice (onde la relazione col toro, rappresentando spesso la Terra sotto forma di vacca), il tuono e la pioggia; in una parola, le epifanie della forza e della
violenza, molle indispensabili delle energie che garantiscono la fertilità biocosmica. Le divinità dell'atmosfera sono, senza dubbio, specializzazioni delle divinità celesti; ma la specializzazione, per eccessiva che sia, non giunge ad abolire il loro carattere uranico. Siamo così condotti a classificare le divinità cosiddette della tempesta accanto alle divinità celesti propriamente dette; nelle une e nelle altre troviamo gli stessi prestigi e gli stessi attributi.
Prendiamo, ad esempio, il caso di Parjanya, divinità indiana dell'uragano. La sua struttura celeste è evidente: Parjanya è figlio di Dyaus ed è talvolta confuso con lui, ad esempio quando è ritenuto sposo di Prthvi, Dea della terra. Parjanya regna sulle acque e su tutti gli esseri viventi, manda le piogge, assicura la fecondità degli uomini, degli
animali e della vegetazione, e di fronte agli uragani che scatena, trema l'Universo intero. Più dinamico e più concreto di Dyaus, Parjanya conserva con maggior successo il suo rango nel pantheon indiano. Ma questo rango non è più supremo: Parjanya non ‘sa’ più tutto, come Dyaus, e non è sovrano come Varuna. La specializzazione ha non solo limitato il suo dominio, ma, nel suo stesso dominio, non è invulnerabile. Un'altra ierofania della tempesta e dell'energia fecondatrice potrà sostituirlo, appena lo esigono nuovi rituali e nuove creazioni
mitiche. Questo avvenne appunto nei tempi vedici: Parjanya impallidisce di fronte a Indra, il più popolare degli dèi vedici (nel solo "Rgveda" non meno di 250 inni sono a lui dedicati, contro dieci per Varuna, e 35 a Mitra, a Varuna e agli Adityas insieme). Indra è l'‘eroe’ per eccellenza, guerriero temerario di energia indomabile, vincitore del mostro Vrtra (che aveva sequestrato le acque), instancabile bevitore di "soma". Quali che siano le interpretazioni proposte, non è possibile dissimulare le valenze cosmiche di Indra e la sua vocazione demiurgica. Indra ricopre il cielo, è più grande della terra intera, porta il cielo come diadema, e può inghiottire quantità spettacolose di soma; non tracannò forse tre laghi in un sorso? Ebbro di soma, uccide Vrtra, scatena uragani, fa tremare l'orizzonte. Tutte le azioni di Indra traboccano di forza e di baldanza; è una realizzazione viva della vita esuberante, dell'energia cosmica e biologica: fa circolare la linfa e il sangue, vivifica i germi, apre libero corso alle acque e dischiude le nuvole. Il fulmine ("vajra") è l'arma con cui uccise Vrtra, e i Marut, divinità minori dell'uragano, il cui capo è Indra, possiedono anch'essi quest'arma divina. ‘Nati dal riso del fulmine’ i Marut sono invocati a molte riprese, affinché non scaglino i loro ‘proiettili’ sugli uomini e sul bestiame e non li uccidano.
L'uragano è, per eccellenza, scatenamento potente di forze creatrici; Indra versa le piogge e comanda a tutte le umidità, essendo insieme il dio della fecondità e l'archetipo delle forze genitali. E' "urvavapati", ‘padrone del campo’, e "sirapati", ‘padrone dell'aratro’, è ‘il toro della terra’, il fecondatore dei campi, degli animali e delle donne. ‘E' Indra che procrea gli animali’, negli sposalizi viene invocato perché dia dieci figli alla sposa, e innumerevoli invocazioni alludono alla sua forza generatrice inesauribile. Tutti gli attributi e tutti i prestigi di Indra sono solidali, e i domini che regge si corrispondono. Si tratti di fulmini che colpiscono Vrtra e liberano le acque, o dell'uragano che precede la pioggia, o delle bevute di soma in quantità favolose, o della fecondazione dei campi, o delle sue gigantesche potenzialità erotiche, siamo continuamente di fronte a un'epifania della forza vitale. Il suo minimo gesto scaturisce da esuberanza, perfino la sua iattanza e la sua vanagloria. Il mito di Indra esprime mirabilmente l'unità profonda esistente fra tutte le manifestazioni plenarie della vita. La dinamica della fecondità è la stessa su tutti i livelli cosmici, e spesso il linguaggio rivela tanto la solidarietà di tutti gli strumenti di fecondazione, come la loro discendenza comune: etimologicamente "varsha", ‘pioggia’, è vicina a "vrshan", ‘maschio’. Indra agita incessantemente le forze cosmiche, facendo circolare l'energia biospermatica nell'Universo intero;
le riserve della sua vitalità sono inesauribili, e le speranze dell'uomo si basano su questo serbatoio. Ma Indra non è CREATORE: dà impulso in ogni dove alla vita e la diffonde vittoriosamente nell'universo tutto, ma NON FA la vita. La funzione creatrice appartenente a ogni divinità uranica si è ‘specializzata’ in Indra come missione generatrice e vivificante.

I Fecondatori.

Indra è paragonato continuamente a un toro. La sua replica iranica, Verethragna, compare a Zarathustra sotto la forma toro, stallone, montone, capro, cinghiale, ‘altrettanti simboli dello spirito maschio e combattivo, delle forze elementari del sangue’ .
Talvolta anche Indra è chiamato montone ("mesa) . Queste medesime epifanie animali si trovano anche per Rudra, divinità pre-ariana, assimilata da Indra. Rudra è il padre dei Marut, e in un inno si ricorda che ‘il toro Rudra li creò nella chiara mammella di Prsni’. Nella sua forma taurina, la divinità generatrice celeste si unì con una Dea-vacca di proporzioni cosmiche. Prsni è uno dei suoi nomi, Sabardugha è un altro, ma si tratta sempre di una vacca che procrea tutto. Il "Rgveda" (3,
38, 8) parla di ‘una vacca "visvarupa" che vivifica ogni cosa’; nell'"Atharva Veda" (10, 10) la vacca si unisce successivamente con tutti gli dèi e procrea su tutti i piani cosmici; ‘gli dèi vivono della vacca e gli uomini del pari, la vacca è diventata questo Universo, vasto come l'impero del sole’. Aditi, madre delle divinità supreme Aditya, è rappresentata anch'essa come una vacca.
Questa ‘specializzazione’ genitale-taurina della divinità dell'atmosfera e della fertilità non si presenta soltanto nel campo indiano; la ritroviamo anche su di una zona afro-eurasiatica molto estesa. Ma notiamo fin d'ora che simile ‘specializzazione’ rivela anche influenze esterne; influenze di carattere sia etnico (gli elementi ‘del sud’, di cui parlano gli etnologi), sia religioso. Indra, per esempio, presenta tracce di influenze extra-ariane (Rudra), ma (cosa che per ora ci interessa anche più) la sua personalità fu modificata e accresciuta da elementi che non gli appartengono come dio della pioggia, dell'uragano e della fecondità cosmica. Le sue relazioni col toro e col soma, per esempio, gli conferiscono prestigi lunari. La luna regna sulle acque e sulle piogge e distribuisce la fecondità universale; le corna del toro sono state assimilate molto presto alla falce lunare. Torneremo fra breve su tutti questi complessi culturali. Teniamo presente tuttavia che LA SPECIALIZZAZIONE GENITALE OBBLIGA LE DIVINITA' CELESTI AD ASSORBIRE NELLA LORO PERSONALITA' TUTTE LE IEROFANIE CHE ABBIANO RELAZIONE DIRETTA CON LA FECONDITA' UNIVERSALE. Necessariamente, accentuando le proprie funzioni meteorologiche (tempesta, fulmine, pioggia) e generatrici, un dio celeste non soltanto diventa il paredro della Grande Madre ctonio-lunare, ma assimila i suoi attributi; nel caso di Indra, il soma, il toro, e forse anche certi aspetti
dei Marut (in quanto questi ipostatizzano le anime erranti dei
morti).
Il toro e il fulmine furono molto anticamente (fin dal 2400 avanti Cristo) simboli coniugati delle divinità atmosferiche. Il muggito del toro fu assimilato, nelle civiltà arcaiche, all'uragano e al tuono; ora, l'uno e l'altro erano epifanie della forza fecondatrice. Per questo li incontriamo costantemente nell'iconografia, nei riti e nei miti di tutte le divinità atmosferiche della zona afro-eurasiatica.
Nell'India pre-ariana, il toro era presente nelle civiltà protostoriche di Mohenjo-daro e del Belucistan. ‘I giochi di tori’, che ancora durano nel Dekkan e nell'India del sud, esistevano nell'India pre-vedica nel terzo millennio avanti Cristo (sigillo di Chauhudaro, del 2500 circa avanti Cristo). I pre-Dravidi, i Dravidi e gli Indo-Ariani, tutti hanno venerato
il toro, sia come epifania del dio genitale-atmosferico, sia come uno dei suoi attributi. Immagini taurine abbondano nei templi di Siva, che ha per veicolo ("vahana") il toro Nandin. La parola canarese "Ko", bovino, significa anche cielo, fulmine, raggio di luce, acqua, corno, monte. Il complesso religioso cielo-fulmine-fecondità vi si conserva nel modo più
completo. In tamul, "Ko(n)" ha il senso di ‘divinità’, ma il plurale "Kon-ar" significa ‘bifolchi’. E' possibile che vi sia una relazione fra queste parole dravidiche e il sanscrito "gou" (indeuropeo "g"ou"), e il sumerico "gu(d)", che significa insieme ‘toro’ e ‘potente, coraggioso’. E' bene ricordare l'origine comune dei nomi greco-latini e semitici del toro:
l'assiro "shuru", l'ebraico "shor", il fenicio "th¢r", eccetera e il greco "tauros", il latino "taurus"; il che conferma l'unità del complesso religioso.
Nell'Iran, sacrifici di tori erano frequenti, e Zarathustra li combatté instancabilmente. A Ur, nel terzo millennio, il dio dell'atmosfera era rappresentato come un toro, e ‘il dio per il quale si giura’ (cioè, in origine, un dio celeste) era tauromorfo nell'antica Assiria come in Asia Minore. A questo proposito è estremamente significativa la supremazia raggiunta dagli dèi dell'uragano, del tipo Teshup, Hadad, Ba'al,
nei culti paleo-orientali. E' bene fermarsi ancora un poco su queste divinità. Non conosciamo il nome del dio supremo degli Hittiti, sposo della Dea di Arinna; si era pensato, a torto, che fosse Zashhapunah. Il suo nome si scriveva con due ideogrammi di origine babilonese, U e IM. La lettura di questo ideogramma in lingua luvia era Dattash, e gli hurriti lo chiamavano Teshup. Era un dio del cielo e dell'uragano, dei venti e del fulmine. I suoi titoli mettono in rilievo il suo prestigio celeste e il suo rango di sovrano assoluto: ‘Re del Cielo’, ‘Signore del paese di Hatti’. L'epiteto più frequente è ‘potentissimo’, e suo simbolo è il fulmine, l'ascia o la clava. Ricordiamo che in tutte le civiltà paleo-orientali la ‘potenza’ era simboleggiata specialmente dal toro; in accadico ‘rompere il corno’ equivaleva a ‘spezzare la potenza’. Il dio di Arinna era rappresentato anch'egli in forma di toro (si sono ritrovate le sue immagini in tutti i templi) e il toro era il suo animale sacro. Nei testi, i due tori mitici, Serish e Hurrish, sono consacrati a lui o, secondo alcuni studiosi, sono addirittura suoi figli. Il solo mito conosciuto è quello della sua lotta col serpente Illuyankash, dove incontriamo lo stesso tema: lotta della divinità dell'uragano e della fertilità con un mostro rettileo (Indra-Vrtra, Zeus-Tifone; il prototipo è Marduk-Tiamat). Bisogna inoltre segnalare la moltitudine di epifanie locali di questo dio; nel trattato di Suppiluliumash souo citati 21 U , e questo conferma il loro carattere autoctono in tutte le regioni abitate da Hittiti. U era un dio popolare in tutta l'Asia Minore e Occidentale, invocato sotto vari nomi.

I Sumero-Babilonesi lo conoscevano sotto il nome di Enlil e di Bel. Benché fosse il terzo nella serie degli dèi cosmici, era il più importante di tutto il pantheon; era figlio di Anu, la suprema divinità celeste. Qui di nuovo ricorre il fenomeno del passaggio di un "deus otiosus" celeste a dio attivo e fecondatore. Il suo nome, in sumero, significa ‘Signore del vento impetuoso’ ("lil", ‘vento vigoroso, uragano’). Viene anche chiamato "lugal amaru", ‘divinità del vento e dell'uragano’, e "umu", ‘tempesta’, "Erl-ug-ug-ga", cioè ‘padrone degli uragani’. Parimenti Enlil comanda alle acque; fu lui che provocò il diluvio universale. E' chiamato ‘il potente’, "alim", il dio dal corno, il Padrone dell'Universo, il Re del cielo e della terra, il padre Bel, il grande guerriero, eccetera. Sua moglie è Ningalla, ‘la grande vacca’, "umum rabetum", ‘la Grande Madre’, invocata in generale col nome di Beltu o Belit, ‘Padrona’ . La sua origine celeste e la sua funzione meteorologica sono confermate anche dal nome del suo tempio a Nippur, ‘la Casa della Montagna’. La ‘Montagna’ séguita a essere il simbolo della divinità celeste suprema, anche quando quest'ultima si specializza come divinità della fecondità e della sovranità.
A Tell Khafage, nel santuario più antico finora conosciuto, l'immagine del toro si trova accanto a quella della Dea madre. Il dio El, che occupa un posto preminente nel pantheon paleo-fenicio, era chiamato ‘toro’ ("shor") e anche El ‘toro misericordioso’. Ma questo dio fu soppiantato, in epoca tarda, da Ba'al, ‘Padrone, Signore’, nel quale Dussaud vede giustamente il dio Hadad. L'equivalenza Ba'al-Hadad è confermata anche dalle tavolette di el-Amarna. Hadad fa udire la sua voce nel tuono, scaglia il fulmine e distribuisce la pioggia. I proto-Fenici paragonavano Hadad a un toro; i resti recentemente decifrati evocano ‘la forza di Ba'al (cioè Hadad) che ha colpito con le corna Mot, come i tori selvatici...’. E nel mito ‘la Caccia di Ba'al’, la morte di Ba'al è paragonata alla morte di un toro: ‘Così cadde Ba'al... come un toro’. Non è per nulla sorprendente che Ba'al-Hadad abbia una paredra (Anat, Ashtart), e che suo figlio, Aliyan, sia una divinità dell'acqua, della fecondità e della vegetazione. A Ba'al-Hadad si sacrificavano tori (confronta la famosa scena fra Elia e i profeti di Ba'al sul Carmelo). L'assiro Bel, continuatore di Anu e di Enlil, è chiamato ‘Toro divino’;
qualche volta è chiamato "dGu", ‘il bovino’, o ‘il grande caprone’.
La solidarietà dei simboli ‘genitali’ e ‘celesti’ in tutti questi tipi di divinità dell'uragano è notevole. Spesso Hadad, rappresentato in forma di toro, porta il simbolo del fulmine. Ma talvolta il fulmine assume l'aspetto di corna rituali. Il dio Min, prototipo del dio egiziano Ammone, era parimenti qualificato come ‘toro di sua Madre’ e ‘Grande Toro’ ("Ka wr"). Il fulmine era uno dei suoi attributi, e la sua funzione pluvio-genitale è manifesta nell'epiteto che gli veniva dato: ‘Colui che lacera la nuvola piovosa’. Min non era una divinità autoctona, gli Egiziani sapevano che era venuto con la sua paredra, la vacca Hathor, dal paese di Pwnt, cioè dall'Oceano Indiano. Per chiudere questa rapida esposizione di una documentazione eccezionalmente abbondante, notiamo che, in forma di toro, Zeus rapì Europa (epifania della Madre), si unì ad Antiope e tentò di far violenza a sua sorella Demeter. E a Creta si leggeva uno strano epitaffio: ‘Qui giace il grande bovino che si chiama Zeus’.

Lo Sposo della Grande Madre.

Come abbiamo visto, il complesso Cielo piovoso-Toro-Grande Dea, era uno degli elementi di unità di tutte le religioni protostoriche della zona euro-afro-asiatica. Certamente l'accento cade sulla funzione generatrice-agraria del dio tauromorfo dell'atmosfera. In Min, Ba'al, Hadad, Teshup e altri dèi taurini del fulmine, sposi della Grande Dea, si venerava, in primo luogo, non il carattere celeste, ma la possibilità fecondatrice. La loro sacralità deriva dalla ierogamia con la Grande Madre agraria; la loro struttura celeste è valorizzata nella sua funzione generatrice. Il cielo è, anzitutto, la regione ove ‘mugge’ il tuono, ove si ammassano le nuvole e si decide la feracità dei campi, vale a dire la regione che garantisce la continuità della vita sulla terra. La trascendenza del cielo è intesa soprattutto nella sua modalità metereologica, e la sua ‘potenza’ equivale a un serbatoio illimitato di germi. Talvolta l'equivalenza si rivela anche nel linguaggio; il sumerico "me" indica ‘l'uomo, il maschio’ e, insieme, ‘il
cielo’. Gli dèi meteorologici (fulmine, uragano, pioggia) e generatori (toro) perdono la loro autonomia celeste, la loro sovranità assoluta. Ognuno di loro è accompagnato, spesso dominato, da una Grande Dea: da Lei dipende, in ultima analisi, la fecondità universale. Questi dèi non sono più creatori cosmogonici, come le divinità celesti primordiali, ma fecondatori e procreatori nell'ordine biologico. La ierogamia diventa la loro funzione essenziale. Per questo li incontriamo così spesso in tutti i culti della fecondità e, specialmente, in quelli agrari; tuttavia, non vi rappresentano mai la parte principale, che spetta o alla Grande Madre o a un ‘figlio’,
divinità della vegetazione, il quale muore e risuscita
periodicamente. (Nota di Lunaria: ovviamente il cristianesimo ha fatto il contrario: ha tenuto il dio padre e ha soppresso la Dea)
La ‘specializzazione’ delle divinità celesti finì col modificare radicalmente il loro profilo; abbandonando la trascendenza, diventando ‘accessibili’ e, in quanto tali, indispensabili alla vita umana, trasformandosi da "deus otiosus" in "deus pluviosus" taurino e generatore, questi dèi assimilano continuamente funzioni, attributi e prestigi che erano loro estranei, e dei quali, nella loro superba trascendenza celeste, non si curavano. Poiché tendevano  -  come tutte le ‘forme’ divine  -  a concentrare intorno a sé tutte le manifestazioni religiose, e a comandare su tutti i settori cosmici, le divinità dell'uragano e le divinità generatrici assorbirono nella loro personalità e nel loro culto (specialmente mediante le ierogamie con la Grande Madre) elementi che, in origine, non appartenevano alla loro struttura celeste.
Del resto, il dramma meteorologico non è sempre e necessariamente espresso da una divinità celeste; il complesso fulmine-uragano-pioggia fu talvolta considerato, per esempio dagli Eschimesi, dai Boscimani e nel Perù, come una ierofania della luna. Le corna del toro furono paragonate, fin dai tempi più remoti, alla mezzaluna, e assimilate alla luna.
Menghin stabilisce una relazione fra la mezzaluna e le figurine femminili dell'Aurignaciano (che tengono in mano un corno); gli idoli di tipo bovino, che si trovano sempre in relazione col culto della Grande Madre (= la luna) sono frequenti nel Neolitico. Hentze ha esteso lo studio di questi complessi lunari-genitali su di un'ampia zona culturale. Le divinità lunari mediterraneo-orientali erano rappresentate in forma di toro e investite di attributi taurini. Così, per esempio, il dio babilonese della luna, Sin, era chiamato ‘il potente vitello di Enlil’, mentre Nannar, dio della luna di Ur, era qualificato ‘potente, giovane toro del cielo, il figlio più cospicuo di Enlil’, oppure ‘il potente, il giovane toro dalle corna robuste’, eccetera In Egitto, la divinità della luna era ‘il toro delle stelle’, eccetera. Vedremo più oltre quanto sia coerente la relazione fra i culti ctonio-lunari e i culti della fecondità. La pioggia  -  ‘seme’ del dio dell'uragano  -  si integra nella ierofania delle Acque, settore che appartiene anzitutto alla giurisdizione della Luna. Tutto quel che è in relazione con la fecondità appartiene, più o meno direttamente, alla vasta cerchia Luna-Acque-Donna-Terra. Le divinità celesti, ‘specializzandosi’ in divinità virili e generatrici, sono fatalmente entrate in contatto con questi complessi preistorici e vi sono rimaste, sia che giungessero ad assimilarseli, sia che venissero esse stesse integrate.

Jahvè.

Le sole divinità del cielo piovoso e fecondatore che siano riuscite a conservare la loro autonomia, malgrado le ierogamie con innumerevoli Grandi Dee, sono quelle che si evolvettero lungo la linea della Sovranità, e che accanto al fulmine fecondatore conservarono lo scettro, restando così garanti dell'ordine universale, custodi delle norme e incarnazioni della Legge. Zeus e Juppiter sono divinità di questo tipo.
Evidentemente tali figure imperiali ebbero nettamente precisata la loro personalità, grazie alla vocazione particolare dello spirito greco e romano per le nozioni di norma e di legge. Ma simili processi di razionalizzazione divennero possibili soltanto a cominciare dall'intuizione religiosa e mitica dei ritmi cosmici, della loro armonia e della loro perennità. T'ien è parimenti un bell'esempio di sovranità celeste nella sua tendenza a rivelarsi come ierofania della Legge, del ritmo cosmico. Capiremo meglio questi aspetti quando studieremo le funzioni religiose del Sovrano e della sovranità. Sopra un piano in certo senso parallelo si colloca l'‘evoluzione’ della divinità suprema ebraica. La personalità di Jahvè e la sua storia religiosa sono troppo complesse per potersi riassumere in poche righe. Diciamo tuttavia che le sue ierofanie celesti e atmosferiche hanno formato molto presto il centro di esperienze religiose che resero possibili le rivelazioni ulteriori. Jahvè manifesta la sua potenza nell'uragano; il tuono è la sua voce e il fulmine viene chiamato ‘il fuoco’ di Jahvè o le sue ‘frecce’. Il Signore d'Israele si annuncia con ‘tuoni, fulmini e un fumo denso’ quando consegna le leggi a Mosè. ‘La montagna del Sinai era tutta in fumo, perché l'Eterno vi era disceso in mezzo al fuoco...’ . Debora rammenta con religioso timore come, ai passi del Signore ‘la terra tremò, i cieli si agitarono e le nuvole si disciolsero in acqua’. Jahvè avvertì Elia che si avvicinava con ‘un grande uragano, da lacerare i monti e spaccare le rocce: il Signore non era nell'uragano. Dopo la tempesta venne un terremoto: il Signore non era in quel terremoto. E dopo il terremoto un fuoco: il Signore non era neppure in quel fuoco, e dopo il fuoco un mormorio dolce e leggero’. Il fuoco del Signore cade sugli olocausti di Elia quando il profeta lo supplica di mostrarsi e di confondere i sacerdoti di Ba'al. Il roveto ardente dell'episodio di Mosè, la colonna di fuoco e le nuvole che guidano gli Israeliti nel deserto, sono epifanie jahviste. E l'alleanza di Jahvè con la discendenza di Noè, sfuggito al diluvio, si manifesta con un arcobaleno. ‘Ho posto il mio arcobaleno nella nuvola e servirà come segno di alleanza fra me e la terra’.  Queste ierofanie celesti e atmosferiche, diversamente dalle altre divinità dell'uragano, manifestano anzitutto la ‘potenza’ di Jahvè. ‘Dio è grande per la sua potenza; chi saprebbe insegnare come lui?’. ‘Prende la luce in mano... si annuncia con un boato... A questo spettacolo il mio cuore è tutto tremante, balza dal suo posto. Ascoltate! Udite il fremito della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca! Lo fa rotolare su tutta l'estensione dei cieli, e il suo lampo brilla fino alle estremità della terra. Non trattiene più il lampo, appena la sua voce rimbomba. Dio tuona con la sua voce in modo meraviglioso...’ . Il Signore è il vero e unico padrone del Cosmo, può fare tutto e annientare tutto; la sua ‘potenza’ è assoluta, per questo anche la sua libertà non conosce limiti. Sovrano incontestato, misura la sua misericordia o la sua collera a proprio arbitrio, e questa libertà assoluta del Signore è la più efficace rivelazione della sua trascendenza e della sua autonomia assoluta, poiché il Signore ‘non è legato da nulla’, nulla lo costringe, nemmeno le buone azioni e il rispetto delle proprie leggi.
Questa intuizione della ‘potenza’ di Dio come sola realtà assoluta è il punto di partenza di tutte le mistiche e le speculazioni ulteriori sulla libertà dell'uomo e le sue possibilità di salvazione mediante il rispetto delle leggi e una morale severa. Nessuno è ‘innocente’ di fronte a Dio. Jahvè ha concluso un'‘alleanza’ col suo popolo, ma la sua sovranità gli permette di annullarla in qualsiasi momento. Se non fa questo, non è in virtù dell'‘alleanza’  -  nulla ‘lega’ Dio, neppure le sue proprie promesse  -  bensì in virtù della sua infinita bontà. Jahvè si mostra in tutta la storia religiosa d'Israele come un dio celeste e della tempesta, creatore e onnipotente, sovrano assoluto e ‘Signore degli Eserciti’, appoggio dei re della dinastia di David, autore di tutte le norme e di tutte le leggi che consentono alla vita di continuare sulla terra. La ‘legge’, sotto qualsiasi forma, trova il suo fondamento e la sua giustificazione in una rivelazione di Jahvè. Ma, diversamente dagli altri dèi supremi, che non possono essi stessi agire contro le leggi, Jahvè conserva la sua libertà assoluta.


Gerico: Situata a 259 metri sotto il livello del mare, Gerico è la città più bassa del mondo. Sorge in pieno deserto in prossimità di una ricca oasi e veniva chiamata anche "città delle palme". Gli insediamenti umani nella zona risalgono a ben 9000 anni a.C!
Sono stati trovati dei teschi dipinti e ricoperti di gesso, segno dell'esistenza di un culto degli antenati.


I Giganti: "Gibbor" in ebraico significa "gigante" ma anche "eroe": si credeva che nell'antichità fossero esistite tribù di veri giganti. Vedi a Genesi 6 anche i "Nephilim", figli degli "angeli" (probabilmente semidei)
 

Gaaba: Nome che in ebraico significa "altura" cioè un luogo posto in alto dove spesso si trovava un altare per compiere sacrifici agli Dei. Da questo posto proveniva Saul, che poi stranamente viene posseduto "da uno spirito cattivo inviato dal Signore" che tenta di uccide Davide. [sì, per gli ingenui e i boccaloni che non lo sapessero: nella bibbia dio uccide, o dà ordine di uccidere, donne e bambini inclusi]
 


  (ulteriore dimostrazione che per gli Ebrei non esisteva "il satana cristiano" ma che gli spiriti negativi erano spesso manifestazioni di Jahvè, vedi anche la storia di Zippora)

Saul è anche ricordato per aver cercato la strega di En dor (1 samuele 28:4) per evocare Samuele, durante un rito necromantico:




Filistei: Guerrieri molto addestrati e ottimi navigatori. Nella bibbia sono noti nella battaglia contro Sansone. Comunque quello che ci interessa è la vicenda di Dagon, il loro Dio-Pesce e di come il suo tempio fu profanato




Come si vede, qui i Filistei prendono Jahvé come un Dio tra i tanti, anche se molto potente ("Questo è il Dio che colpì l'Egitto con ogni sorta di strage nel deserto");
Qui è interessante notare che nel testo cattolico di Schökel, l'affermazione dei Filistei NON è al singolare, ma al plurale: "Chi ci libererà dalla mano di questi Dei potenti, questi Dei che colpirono l'Egitto con calamità ed epidemie di ogni genere nel deserto?"


Durante la battaglia, i Filistei che, tra l'altro, sconfiggono gli ebrei, "catturano" l'Arca, ovvero "la casa" dove tale Dio Jahvé dimorava

è logico: i Filistei pensano di impossessarsi di tale "feticcio magico" usandolo a loro vantaggio o forse volendo aggiungerlo - cosa più probabile - al loro pantheon di Divinità; ma, durante la notte trovano la statua di Dagon crollata a terra:

  L'Arca emana un potere così nefasto che i Filistei decidono di portarla via: ma dall'Arca continua ad uscire un'onda maligna, che causa le emorroidi (!)

Anche questa storia dimostra una realtà palese: il Dio di Israele NON è AFFATTO un Dio che voglia essere adorato da tutti: difatti tormenta i Filistei che pure lo avevano accolto nel loro tempio; è quindi solo un Dio specificatamente rivolto a un preciso gruppo etnico, quello israelita; è per questo che la credenza cristiana moderna, di credere che "il Dio della bibbia" si rivolga a tutti gli uomini, perché Dio di amore, è ridicola e grottesca! Il dio Jahvé non vuole affatto "adottare altri popoli", ma è un Dio con tratti specificamente razziali. è solo con Salomone che inizia a prendere piede l'idea che anche lo straniero debba pregare Jahvè.

Tra l'altro è anche interessante notare che Il Dio Jahvé non stava affatto in cielo, ma era "rinchiuso" nell'Arca, perché a 2 Samuele 7,6 si dice che:


Affermando quindi di volere un grande tempio, quello che sarà il Tempio di Salomone, successore di Davide. Salomone poi perderà "il favore" di Jahvè perché "inclinò il suo cuore" verso altri Dei (tutti gli Dei che erano le Divinità delle sue 700 spose e delle sue 300 concubine moabite, ammonite, edomite, fenicie, hittite)


Per un approfondimento sui Fenici, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/i-fenici.html

APPROFONDIMENTO: IL SERPENTE IN GENESI è IL DIAVOLO?




METTERò ANCHE DELLE PROVE FOTOGRAFICHE, PRIMA CHE QUALCHE CRISTIANUCOLO DICA CHE: "NON è VERO NIENTE! è TUTTO UN TUO DELIRIO! NON HAI MAI LETTO UN LIBRO!"

 Ci troviamo a pagina 378


Ora introduciamo un secondo simbolismo, un secondo protagonista del racconto. Poi intrecceremo i due simboli. Il secondo protagonista si chiama il SERPENTE. Lo si trova proprio in inizio, nelle prime battute stesse del racconto: "Il serpente era la più astuta di tutte le bestie"
Ora, il serpente era entrato in scena anche nel racconto di Ghilgamesh. Il serpente, a livello di tradizione, è diventato subito una realtà precisa. Però badate bene: questa identificazione non è della tradizione jahvista. è solo nel libro biblico della Sapienza (I sec. a.C) c. 2, 24 che si dice:
"è per invidia del Diavolo che la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono".
Ecco subito allora una precisa identificazione: il SERPENTE è il DIAVOLO. Questa tradizione continuerà, ed è anche l'opinione comune corrente.
Invece per l'autore antico l'idea del Diavolo sicuramente non era ancora presente. Agli occhi di questo autore del X sec. a.C l'idea era un'altra. Ed era un'idea molto più fine, molto più acuta.


Per noi il serpente incarna anche quella specie di eredità che possediamo da sempre, quell'eredità che ci parla di paura: è infatti qualcosa di viscido, di freddo e a volte di velenoso. Per la tradizione orientale il serpente era invece un simbolo circoscritto e ricco di grandi significati.
E se andiamo a vedere in altre culture, anche lontane dalla Bibbia, c'è sempre, bene o male, un serpente primordiale che si attorciglia nei grandi miti della creazione.

 
Nota di Lunaria: infatti abbiamo visto sopra che il serpente era associato alle Dee o le Dee stesse erano Dee Serpenti.




Il serpente, però, che l'autore aveva davanti agli occhi, era un serpente che rimandava a una realtà precisa, nei cui confronti gli ebrei si sentivano costantemente attirati, nei cui confronti la profezia e prima della profezia le tradizioni bibliche hanno dovuto continuamente protestare.


In Israele, ancora oggi, si possono trovare resti di santuari cananei, santuari posti sulle alture. Questi santuari avevano collezioni di massebot, cioè di stele sacre, che non soltanto il tempo, ma la devozione dei fedeli ha completamente rese lisce, a furia di versarvi sopra olio, a furia di baciarle. (*) C'erano dei pali sacri, scomparsi, ma di cui si vedono ancora gli infissi, le cosiddette ashere [Ashera era la Dea Madre, probabilmente rappresentata sotto forma di tronco o colonna. Nota di Lunaria]; c'erano dei templi veri e propri: pensiamo al tempio bellissimo cananeo di Meghiddo, col suo altare meraviglioso, al tempio di Hazor, con tutta la distribuzione delle camere sacrali intorno.

(*) Infatti i primi ebrei (come gli arabi!) erano POLITEISTI E IDOLATRI DELLE PIETRE. 
E questo lo dimostrano i loro stessi testi sacri che hanno prescrizioni al riguardo (vedi l'adorazione della "pietra nera" che gli islamici ancora mettono in pratica o la storia di Giacobbe ‘Giunto a un certo luogo, volendovi riposare dopo il tramonto del sole, prese delle pietre che vi si trovavano, e postele sotto il suo capo, ivi dormì. E vide in sogno una scala rizzata sulla terra, la cui cima toccava il cielo; gli angeli di Dio salivano e discendevano per essa; e il Signore, appoggiato alla scala, gli diceva: ‘Io sono il Signore Dio d'Abramo tuo padre e il Dio d'Isacco; la terra nella quale dormi, la darò a te e alla tua stirpe...’ ... Svegliatosi Giacobbe dal suo sogno disse: ‘Veramente, il Signore è in questo luogo, e io non lo sapevo!’ e intimorito così continuò: ‘Quanto è terribile questo luogo! altro non è che la casa di Dio e la porta del cielo’. Alzatosi dunque al mattino, Giacobbe prese la pietra sulla quale aveva posato il capo e la alzò in memoria, versandovi olio sopra. E mise nome Bethel a quel luogo.") e lo studio fatto da Mircea Eliade in "Trattato di Storia delle Religioni", tutto il capitolo dedicato alla LITOLATRIA, L'ADORAZIONE DELLE PIETRE.
http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/siria-2-litolatria-atargatis-astarte.html 

I Cananei erano gli indigeni della Palestina. E gli ebrei avevano subito sentito il fascino della loro religione, religione del corpo, della materia, del movimento, della vita, così come si sperimenta. Dio, dove lo devo andare a cercare, se non tutte le volte che io vedo il mio prato fiorire? Dio, dove lo devo andare a cercare se non quando ho un figlio da mia moglie, cioè ho la possibilità di avere delle braccia che lavorano nei campi e quindi avere prosperità? Dio, dove lo vedo se non nel moltiplicarsi dei parti dei greggi?
Ed ecco allora la tentazione di quella che la Bibbia sprezzantemente chiama "la prostituzione sacra": sacerdotesse che nell'interno dei templi rappresentavano o la Dea Astarte, la Dea della fecondità, o il Dio Baal, il Dio Fecondatore, il toro sacro (ricordiamo quel famoso toro d'oro adorato dagli ebrei nel deserto del Sinai, come si narra in Esodo 32-34) [o come si narra anche nel commento di Pestalozza, che suggerisco di leggere. Nota di Lunaria]

La tentazione degli ebrei di materializzare Dio nel simbolo della fecondità era quindi indotta dall'ambiente in cui vivevano. E all'interno di questi culti c'era anche il serpente. Il serpente era una componente fallica, era un simbolo che si collegava al rito complesso del culto della fecondità e comprendeva anche il commercio sessuale con la Sacerdotessa. Il fedele andava al tempio e la sacerdotessa gli trasmetteva un po' dell'energia di Dio per cui lui sarebbe ritornato caricato quasi del seme di Dio.





Era una religione corposa, una religione che spiegava, quasi in maniera visiva, che cos'è la vita e che cos'è Dio (Nota di Lunaria: OVVERO GLI ATTRIBUIVA UN SESSO! MASCHILE - BAAL - E FEMMINILE - ASTARTE - !!!). E allora, proprio all'inizio di questa pagina, quando sta per consumarsi il peccato dell'uomo, l'autore ha messo quel tentatore che tutti i lettori conoscevano e che noi solo attraverso questo lungo ragionamento riusciamo a capire e a decifrare. Il vero tentatore è l'idolo. L'uomo appare sulla faccia della terra con la sua libertà. Questa libertà nuda trova davanti a sé il fascino del bene e del male, definiti da Dio. Egli deve fare la sua scelta, deve prendere la sua decisione e questa scelta e questa decisione è sostenuta paradossalmente da una realtà morta, da uno dei tanti idoli. Noi ora siamo invitati a ritrascrivere con altri nomi quegli idoli, che ci staccano dalla purezza della nostra libertà, dalla purezza della proposta morale offerta da Dio.

Con buona pace di tutto quel sarcasmo e ironia che sono stati fatti su questa pagina, nei confronti della donna, con buona pace anche di qualche persona seria (come Agostino e Guitton) che si è lasciata prendere la mano forse da una sottile e nascosta misoginia (1), non dobbiamo concentrare l'attenzione su quella donna che spinge lentamente l'uomo a cedere.

 (1) Sottile e nascosta misoginia mica tanto, visto che Agostino era a favore delle botte da dare alle mogli (ché ovviamente la femmina non è neanche al 100% immagine di Dio... COME I CRISTIANI HANNO SCRITTO E AFFERMATO PER SECOLI E SECOLI E QUI TROVATE UN LIBRO CHE RIPERCORRE L'INTERA STORIA DELLA TEOLOGIA IN MERITO ALLA QUESTIONE DELL'IMAGO DEI NELLA DONNA E SIETE PREGATI DI LEGGERLO TUTTO, PRIMA DI "ANDARE CONTRO" LA SOTTOSCRITTA:
https://books.google.it/books?id=geUeENMXJGQC&pg=PA306&lpg=PA306&dq=donna+imago+dei&source=bl&ots=br49uQcE4q&sig=ST3WuGgoCJQhfp5KK0EKdn4kVcc&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjgxbqz79DXAhXCPBoKHXSUA1AQ6AEIRDAF#v=onepage&q=donna%20imago%20dei&f=false)





e Jean Guitton, in pieno '900, ancora sosteneva che la femmina fosse deficiente di intelletto e inferiore all'uomo e che non si potesse parlare di maria in quanto "Dio fatto donna", ovviamente...:

"Dal punto di vista dell'energia psichica, della facoltà di guida e di ragionamento, della capacità creativa, la donna è inferiore all'uomo; nessuna grande scoperta si può ascrivere a una donna"


"Però è bene individuare subito i due pericoli che minacciano tale lavoro teologico. Il primo è di sottrarre la Vergine alla condizione di creatura e di parlare di lei come di una quarta ipostasi, quasi un Dio-fatto-donna, invece che madre del Dio-fatto-uomo"




Eh certo! La femmina non è degna di essere considerata divina! Solo il pene andava bene, come attributo per Dio.
COME DEL RESTO CI RICORDA ANCHE QUESTO PDF:
https://books.google.it/books?id=geUeENMXJGQC&pg=PA306&lpg=PA306&dq=donna+imago+dei&source=bl&ots=br49uQcE4q&sig=ST3WuGgoCJQhfp5KK0EKdn4kVcc&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjgxbqz79DXAhXCPBoKHXSUA1AQ6AEIRDAF#v=onepage&q=donna%20imago%20dei&f=false 
E QUEST'ALTRO, CHE CI SPIEGA PERCHé MARIA "NON è UNA DEA"
http://www.culturamariana.com/pubblicazioni/Serie%20pastorale/Maria%20nella%20Teologia%20contemporania/Capitolo%20XIV%20-%20Maria%20e%20la%20donna%20nel%20movimento%20culturale%20contemporaneo.pdf 
"LA FEMMINILITà NON HA NIENTE DI DIVINO, è UNO SCARTO DI CREAZIONE, FATTA SOLO PER ESSERE SOTTOMESSA, SOLO LA VIRILITà è L'IMMAGINE PERFETTA DI DIO"...

Torniamo al commento alla Genesi:

Nell'interpretazione di Agostino e Guitton, il testo evocherebbe la descrizione del fatto che la donna ha dei ritmi di maturazione sessuale, soprattutto in Oriente, anticipati rispetto a quelli dell'uomo e perciò avrebbe spinto l'uomo a provare, prima ancora della norma indicata da Dio, l'ebbrezza dell'atto sessuale, dell'amore.
Questa è una banalizzazione del testo, è un non tener presente l'ambiente in cui esso sorge. La donna è presente qui non tanto perché è adescatrice, la tentatrice sessuale, come di solito dice, purtroppo, certa letteratura o certa opinione comune. La donna, in questo caso, invece, appare ormai, per l'ascoltatore attivo, con un volto molto preciso, con contorni ben definiti: è, in qualche modo, il segno della stessa Sacerdotessa cananea dei culti pagani della fertilità. Serpente e donna erano i due elementi che il fedele ebreo incontrava quando riusciva a sottrarsi alle maglie della censura ufficiale del culto di Israele e ad andare nei santuari cananei. La donna e il serpente lo tentavano ad incontrare un dio facile, il dio che è ridotto appunto a un meccanismo della natura, a un dinamismo della biologia.



VISTO? IL SERPENTE IN GENESI NON è IL DIAVOLO!!!! è IL SIMBOLO DEL CULTO POLITEISTA DELLA DEA E DELLA SUA SACERDOTESSA. E SICCOME LA RELIGIONE DI JAHVè NON PREVEDEVA UNA DEA FEMMINILE E UNA SACERDOTESSA, HANNO DEMONIZZATO IL SIMBOLO.

Avevamo visto sopra l'analisi che ne fa Riane Eisler in "Il calice e la spada"; riporto anche il numero della pagina, così i cristianucoli non devono neanche leggerselo tutto il libro, poverini, si fanno male agli occhietti se devono leggere più di cinque righe! Figuriamoci un intero libro! Onde poi offendere chi legge libri, come la sottoscritta. Ma Lunaria è buona, vi  perdona, ci tiene al vostro benessere e quindi vi mette già il numerino della paginetta, così non dovete farvi la bua alle manine, per sfogliare tutte quelle pagine, e la bua agli occhietti, miei cari cristianelli!, basta che aprite il libro alle pagine qui indicate:

Pagina 152: "La testimonianza più stupefacente del potere duraturo del serpente ci viene dal racconto della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso. è infatti il serpente che suggerisce alla donna di disobbedire a Geova e di mangiare lei stessa dall'albero della conoscenza.
Sono stati fatti molti tentativi, da parte dei teologi, di interpretare la storia della cacciata dal Paradiso in modi che non "spiegano" la barbarie, la crudeltà e l'insensibilità come una conseguente inevitabile del peccato originale.
Il fatto che il serpente, un antico simbolo oracolare o profetico della Dea, consigli a Eva, la donna archetipica, di disobbedire agli ordini di un Dio maschile, non è sicuramente un caso. Né è un caso che Eva segui in effetti il suggerimento del serpente: trasgredendo agli ordini di javé, mangia dal sacro albero della conoscenza.
Come l'albero della vita, anche l'albero della conoscenza era associato alla Dea. Inoltre, nell'antica realtà sociale e mitica (come avveniva ancora per la Pizia in Grecia e con la Sibilla a Roma), la saggezza e la rivelazione divina si manifestavano attraverso una Sacerdotessa. Secondo il punto di vista della realtà precedente, gli ordini di questo potente dio, javè, per cui Eva non poteva cibarsi da un albero sacro (della conoscenza, della saggezza divina o della vita) sarebbero stati non solo innaturali, ma anche blasfemi. Boschetti d'alberi sacri erano parte integrante della vecchia religione. Lo stesso vale per i riti volti a indurre negli adoranti uno stato di coscienza ricettivo alle rivelazioni della Dea, riti officiati dalle donne, in quanto Sacerdotesse della Dea.
Insomma, nell'ambito della vecchia realtà matriarcale, javé non avrebbe avuto il diritto di dare simili ordini. Ma, visto che erano stati dati, non ci si poteva aspettare che Eva o il serpente in quanto rappresentanti della Dea, li avrebbero osservati. Dirette al primo pubblico della Bibbia, il popolo di Canaan, che probabilmente si ricordava ancora le terribili punizioni che gli uomini che portavano con sé gli Dei della guerra e del tuono avevano inflitto ai loro antenati, le orribili conseguenze della disobbedienza di Eva agli ordini di javé erano più che una semplice allegoria della "colpevolezza" dell'umanità. Erano un chiaro monito a evitare il culto della Dea, che ancora resisteva.
La "colpa" di Eva quando si rifiutò di ubbidire a javé e s'azzardò ad attingere personalmente alla fonte della conoscenza, era in sostanza il rifiuto di rinunciare a quel culto. E siccome fu Eva, la prima donna, il simbolo della donna, a rimanere legata all'antica fede, più di Adamo, che si limitò a seguire il suo esempio, la punizione per lei doveva essere più tremenda. Da quel momento, si sarebbe dovuto sottomettere in tutto e per tutto. Le sue sofferenze si sarebbero moltiplicate, e con esse, la prole, il numero dei figli che avrebbe generato. E per l'eternità sarebbe stata condannata a essere dominata da questo dio vendicativo e dal suo rappresentante terreno, l'uomo. A parte questo, lo svilimento del serpente e l'associazione della donna al male erano un modo per screditare la Dea.
Il passo, in Genesi 3:16, "moltiplicherò grandemente le tue pene e la tua gravidanza; avrai figli nel dolore e desidererai tuo marito, ed egli dominerà su di te" ha senso se si considera la storia della cacciata dal Paradiso terrestre come una favola androcratica su come le popolazioni ugualitarie che adoravano la Dea, dedite all'agricoltura furono conquistate da pastori bellicosi e dominati dai maschi, e di come ciò segnò la fine della libertà sessuale e riproduttiva della donna. Il passo "moltiplicherò grandemente le tue pene e la tua gravidanza" indica chiaramente che a quell'epoca le donne
persero non solo il diritto a scegliere il loro compagno sessuale ma anche quello di usare le tecnologie del controllo delle nascite. Che l'uso dei contraccettivi risalga all'antichità è dimostrato da antichi papiri egiziani, che descrivono l'uso di spermicidi."

Pagina 161 e successive  

"Tuttavia non si poteva usare sempre e solo la forza per ottenere ubbidienza. Si doveva fare in modo che gli antichi poteri che governavano l'universo, simboleggiati dal Calice che dà la vita, venissero sostituiti da nuove e più potenti divinità, le cui mani impugnavano la Spada sovrana. E per riuscirci bisognava fare innanzitutto una cosa: abbattere la Dea stessa, e non solo la sua rappresentante terrena, la donna, dalla posizione di preminenza che occupava.
Sia esso dio del tuono, della montagna o della guerra, o in seguito il più incivilito dio dei Profeti, nella bibbia c'è un solo dio: l'imperscrutabile e geloso javé/geova, che nella successiva mitologia cristiana invia il suo unico figlio maschio gesù cristo a morire per espiare le "colpe" dei suoi figli. Se leggiamo la bibbia come letteratura sociale normativa l'assenza della Dea è assolutamente rivelatrice del tipo di ordine sociale che si sforzarono di istituire e di conservare gli uomini che nel corso dei secoli scrissero e riscrissero questo documento religioso. Infatti, simbolicamente, l'assenza della Dea dalle sacre scritture ufficialmente approvate, significava la mancanza di un potere divino che proteggesse le donne e le vendicasse per i torti subiti dall'uomo."
 

Ora vediamo perché NON è maria che schiaccia il serpente, come credono gli ingenui boccaloni, anzi LE INGENUE BOCCALONE, perché sono soprattutto le femmine ad essere ignoranti in teologia ed esegesi e a prendere per buona la propaganda cattolica...

Il testo biblico originale dice: "Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno"




Il soggetto che "schiaccia la testa del serpente". è "la sua stirpe": la stirpe nata dalla donna, ovvero il messia e non la donna!


 è il seme della donna, la stirpe, il discendente della donna che schiaccia la testa al serpente! Quindi, al massimo, è il gesù cristiano che deve essere rappresentato con il piede che schiaccia il serpente, non maria!

L'idea di associare maria al serpente è uno SCOPIAZZAMENTO DEL PAGANESIMO, e delle Dee associate al serpente, vedi anche Giunone CHE SECOLI PRIMA CHE MARIA VENISSE POSTULATA, GIà ERA RAPPRESENTATA COL SERPENTE AI SUOI PIEDI!


IL CATTOLICESIMO HA ROVINATO IL SIMBOLISMO DEL SERPENTE  E DELLA DEA:

MARIA CHE CALPESTA IL SERPENTE [che dal punto di vista cristiano è il "diavolo", quando invece abbiamo visto che rappresentava la Dea e la sua Sacerdotessa]

QUESTA IMMAGINE SIGNIFICA BEN ALTRO! NON è - COME CREDONO I BOCCALONI! - "IL TRIONFO SUL MALE", MA è LA DONNA FEDELE AL PATRIARCATO DEL DIO PADRE CHE CALPESTA LA DEA, CHE RINNEGA LA DEA, CALPESTANDONE IL SERPENTE CHE ERA IL SUO SIMBOLO. In altre parole, è la donna-serva che collabora all'oppressione misogina. 

VI RIPORTO ANCHE LA SPIEGAZIONE CRISTIANA NON CATTOLICA (per chi non lo sapesse, i cristiani non cattolici NON IDOLATRANO MARIA, ANZI.)


Perché maria non è nessuno, nei vangeli? Perché più di una volta lo stesso gesù la rinnega:
vedi Luca 11,27 e seguenti: a Gesù viene detto "Beato il corpo che ti ha portato e le mammelle che ti hanno nutrito"; egli rifiuta però il riferimento alla madre e risponde: "Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono!"
Inoltre gesù rimprovera maria: "Donna, che ti importa di quel che faccio?"; si può trovare persino una traduzione con una frase ancora più cafona: "Che vi è tra me e te" o "Che ho a che fare con te, donna?").
Maria non viene mai chiamata "madre", tranne sul calvario.


Le donne devono ficcarsi nel cervello che i santini di maria NON SONO ADORAZIONE DI UNA DONNA!!! MARIA NON è UNA DONNA, è L'IDOLATRIA DI UN IMENE SOTTOMESSO! maria è stata inventata da maschi misogini che le vere donne le odiavano!!!!!!!!!!!


"Finché la mariologia costituisce l'esaltazione del principio della sottomissione e della ricettività purificato da qualsiasi relazione con la femminilità sessuale, liberazione della donna non c'è e non può esserci" [...] "La mariologia è l'esaltazione del principio della sottomissione e della ricettività, purificato da qualsiasi relazione con la femminilità sessuale [...] Nel patriarcato c'è una buona e una cattiva femminilità. La cattiva femminilità rappresenta la volontà della creatura [...] nel suo stato naturale, la femminilità rappresenta il peccato e tutto ciò che deve essere sottomesso o rigettato. La buona femminilità invece rappresenta la creatura in quanto veicolo passivo della volontà maschile di Dio.[...] La mariologia esalta il femminile verginale, obbediente e spirituale, ma teme tutte le vere donne di carne."  (Rosemary Radford Ruether)


Per giunta, maria rappresenta la sottomissione ad una forza divina immaginata al maschile:



Post utile da visionare: http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/siria-2-litolatria-atargatis-astarte.html

 

APPROFONDIMENTO SULLA MENORAH


  tratto da


 Ha valore simbolico la Menorah, il candelabro a 7 bracci dell'Ebraismo, che si ricollega a una prescrizione biblica (Esodo 25-31)



Originariamente i bracci del candelabro sostenevano lampade a olio, in seguito vennero usate spesso le candele di cera (*) 


(*) La candela ha una precisa valenza esoterica, come sa chiunque studi Magia. 



La Menorah, con le sue decorazioni vegetali, rimanda probabilmente ad una specie di Albero del Mondo secondo prototipi babilonesi, alludendo al numero 7 dei pianeti.



Era conservata nel tempio di Gerusalemme, e fu trafugata dai Romani dopo la conquista della città; nell'arte medievale è spesso emblema dell'Ebraismo. "Il candelabro è un albero della luce che si sviluppa nella sua massima fioritura. La luce risplende fino a Dio e verso di lui risplendono tutte le altri luci. Questa è la Menorah, che secondo la tradizione al tempo degli eroici Maccabei, durante la consacrazione nel Secondo Tempio, bruciò in totale per 8 giorni - sebbene fosse stata alimentata solo con un orciuolo d'olio che fu trovato intatto" (S.P. de Vries)

Nota di Lunaria:  lo stesso simbolismo è filtrato nel cristianesimo 




Non sto qui a specificare che anche questo è uno scopiazzamento dell'Esoterismo e del Paganesimo... L'olio infatti era usato nei riti pagani. Vedi, per esempio, questo approfondimento:


I candelabri Chanukka degli ebrei portano 8 candele; il tronco non regge alcuna candela ma sostiene spesso una figura (per esempio Giuditta con la testa di Oloferne); il nono braccio sostiene la candela "shammash", "servo della luce", che è anche il nome del dio babilonese del Sole con la quale vengono accese tutte le altre.

APPROFONDIMENTO SUGLI INFERI


Gli Inferi Ebraici: Sheol

Non meno dell'angelologia erano sviluppate, ai tempi di Gesù, le credenze nell'oltretomba. Su questo argomento l'antico ebraismo - stando almeno ai documenti pervenuti fino a noi, si era mantenuto in una grande imprecisione di concetti, sebbene qua e là alcune affermazioni solitarie inducano a sospettare che il relativo patrimonio concettuale fosse in realtà più ricco di quanto risulti a noi; ad ogni modo i concetti fondamentali dell'oltretomba erano stati anticamente i seguenti. La dimora dei morti era chiamata Sheol, sempre femminile, immaginata quale immensa caverna posta nei sotterranei del cosmo. Ivi i trapassati, i Rephaim “spossati”, “assopiti”, vagavano come ombre su una terra di tenebre e di oscurità, terra di buio e di caligine (Giobbe, 10, 18-22),


 sebbene altrove si parli di quelle ombre come tuttora animate da passioni umane (Isaia, 14, 9) 


e suscettibili di entrare in comunicazione con i viventi per mezzo dell'evocazione necromantica (I Samuele, 28, 7).




Dalla Sheol nessuno, che vi sia disceso, può mai risalire (Giobbe, 7, 9-10; 10, 21; 

  
tuttavia c'è il celebre e disputato passo di 19, 23-27).


Nessuna sanzione morale di premio o di pena per gli abitatori della Sheol, quale conseguenza della condotta tenuta durante la vita terrena, è attestata in maniera ben chiara e con precisione inequivocabile nei documenti più antichi.Questi concetti vaghi ed incerti si mantennero a lungo anche dopo l'esilio di Babilonia, e li ritroviamo espressi ancora a principio del secolo II a.C. da un dotto Scriba quale il Siracida (Ecclesiastico, testo greco, 17, 22-23 al. 27-28; 41, 4 al. 6-7); tuttavia già nell'esilio erano stati sparsi i germi di un nuovo fermento, che doveva man mano trasformare l'aspetto della questione richiedendone una soluzione più adeguata ai tempi nuovi. Nell'esilio Ezechiele (18, 3)

aveva asserito nel campo della morale il principio della retribuzione individuale, in contrapposto alla retribuzione collettivo-nazionale che aveva regolato l'antico ebraismo; e questo nuovo principio doveva necessariamente ripercuotersi anche nella questione dell'oltretomba. Un ignoto solitario di mente elettissima aveva agitato nell'intero libro di Giobbe la questione dei rapporti fra la bontà morale e la felicità terrena, ma era giunto ad una conclusione più negativa che positiva, perché riscontrando che fra i due termini non esiste sempre un collegamento infallibile aveva finito per rifugiarsi in un atto di fede nella somma giustizia di Dio. Tuttavia il fermento lavorava occultamente, e spingeva sempre più a congiungere la questione della retribuzione morale con quella dell'oltretomba, e a chiedersi se dopo la presente vita ottenebrata dall'ingiustizia non ne venisse un'altra illuminata dalla piena giustizia: in altre parole, dalla Sheol non si sarebbe un giorno usciti nuovamente attraverso una resurrezione che avrebbe riparato le ingiustizie presenti? Presso il giudaismo di Alessandria, ch'era in abituali relazioni con la platonizzante filosofia ellenistica, si fece a meno di ricorrere alla resurrezione dei morti: nella vita presente il corpo corruttibile era come una pesante catena imposta all'anima prigioniera e quindi con la morte l'anima del giusto era liberata dal suo carcere e tornava a Dio presso cui trovava il meritato premio. Ma per il giudaismo palestinese, ignaro di platonismo e invece abituato a vedere nel composto umano un quid unum, era necessaria una soluzione che corrispondesse compiutamente a siffatta visione unitaria dell'individuo umano, e che di questo investisse tanto l'anima quanto il corpo. Già nel passato si erano avute affermazioni della resurrezione dei morti, ma piuttosto d'indole poetica (Isaia, 26, 19) o simbolica (Ezechiele, 37, 1-14);




in seguito essa è affermata nettamente (Daniele, 12, 1-3),


da parte dei Farisei si sosterrà in polemica contro i Sadducei che è utile pregare per i morti nella sicura attesa della loro resurrezione (II Maccabei, 12, 43-46)

 Ai tempi di Gesù la fede nella resurrezione era generale nel giudaismo palestinese, con la sola eccezione dei Sadducei, ed è nettamente attestata sia presso vari apocrifi composti dal secolo I a.C. in poi, sia presso scritti rabbinici. Tuttavia nelle particolarità di questa fede esistevano divergenze: ad esempio, sembra che parecchi negassero la resurrezione degli empi, i quali invece sarebbero stati annientati. Negli stessi apocrifi troviamo divergenze anche più numerose quando passano a descrivere, con minuziosità interminabile, la topografia e l'apparato materiale dell'oltretomba, sia che trattino degli scompartimenti riservati ai giusti sia di quelli degli empi: ma, quasi in compenso, si assiste ad una vera fantasmagoria di labirintiche costruzioni innalzate dall'immaginativa di generazioni intere. Antichissimi concetti cosmologici sono confluiti in tali descrizioni, mentre poi molti loro elementi si trasmetteranno costantemente in seguito fino ad essere inclusi anche nella Divina Commedia.


Ma il giudaismo palestinese insegnava che prima dell'oltretomba dovevano accadere due grandi fatti: la venuta del Messia e il dramma dei tempi estremi. Spessissimo poi i due fatti, che per sé apparivano distinti, furono congiunti e mescolati insieme, ed offrirono inesauribile materia alla letteratura apocalittica che fiorì in pieno a quei tempi. Il grande Eletto in greco “unto”, ch'era stato promesso dagli antichi profeti come liberatore e glorificatore d'Israele, era atteso nei due secoli anteriori e in quello posteriore a Gesù in maniera ansiosissima. La sua venuta era messa in relazione con le condizioni in cui si trovava la nazione. Questo Messia avrebbe dovuto instaurare in Israele un'epoca di felicità, la quale sarebbe stata anche una giusta ricompensa per le tante umiliazioni fino allora sofferte; il Dio Jahvè, liberando per mezzo del Messia la sua prediletta nazione e facendola trionfare di tutti i suoi nemici, avrebbe procurato anche il suo proprio trionfo: il dominio d'Israele su tutte le nazioni pagane sarebbe stato anche il dominio del vero Dio su tutti i figli dell'uomo, il Regno di Dio sulla terra. Perciò tutti gli sguardi erano protesi verso quel grande Venturo: si speculava sul tempo della sua venuta, sul modo della sua azione, sulle sue gesta fra le nazioni pagane, e anche sui rapporti che il regno messianico avrebbe avuto col mondo fisico odierno e con le leggi che lo governano. Ai tempi di Gesù si ritiene concordemente che il Messia discenderà dalla stirpe di David, come ha affermato l'antica tradizione; spesso lo si chiama “figlio d'uomo”, come è stato chiamato in Daniele, 7, 13. 


Se quattro grandi regni si sono succeduti nel passato crollando tutti successivamente, il regno del Messia che sarà il quinto permarrà in eterno (Daniele, 2, 44); se nel passato quattro regnanti in forma di quattro grandi fiere sono sorti dal mare e un corno della quarta fiera (Antioco IV Epifane) ha fatto strage dei santi dell'Altissimo, tutte queste forze ostili a Dio saranno distrutte da Uno che è “come figlio d'uomo”, che riceve in cielo ogni potenza dall'”Antico dei giorni“, e scende poi sulla terra a stabilirvi vittoriosamente il suo regno imperituro in cui domineranno i santi dell'Altissimo, e riceveranno l'omaggio di tutti gli imperi (Daniele, 7, 13). Su questi fondamentali temi biblici ricamano i vari scritti apocrifi, intrecciandovi molti altri elementi.

Nota di Lunaria: anche gli arabi pre-islamici non credevano all'aldilà e lo deduciamo dal fatto che mettevano in dubbio la resurrezione dell'Ultimo Giorno; in compenso, la credenza islamica sul paradiso e sull'inferno è varia e colorita...


Per quanto riguarda i miei consigli musicali, la band che ho scelto di postare per questo articolo sono i Dalmerot's Kingdom 


 di track come "Ha'mistorin Ha'nitzchi" https://www.youtube.com/watch?v=eOcoIwyzsZQ
(i Nostri comunque usavano anche l'inglese per altri testi), autori di un Black Metal che alterna parti furiose a parti più d'effetto e atmosferiche, soprattutto nei cori...



Purtroppo si sono sciolti, stando a quanto dice Metal Archives... e hanno rilasciato un unico cd, dopo un demo: "Ha'mistorin Ha'nitzchi", 1998.